Separazione delle carriere dei magistrati e crisi del controllo democratico

14 Novembre 2025

Roberto Cornelli Criminologo

Articolo pubblicato su CRIMePo
Roberto Cornelli, 3 Nov 2025

Titolo originale Separazione delle carriere dei magistrati e crisi del controllo democratico

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Vale sempre la pena comprendere le ragioni che sostengono l’approvazione di nuove leggi prestando attenzione alle parole di chi le ha pensate e disegnate. Spesso svelano intenti politici che le sottendono. Tra questi è sempre più ricorrente la spinta a eliminare quei lacci e lacciuoli che non consentono a chi governa di fare ciò che ritiene di dover fare. I casi da citare sarebbero molti, non solo nel nostro Paese, e riflettono un’irritazione sempre più estesa per i richiami e i controlli tanto delle autorità nazionali che di quelle sovranazionali e internazionali.

È, questa, un’insofferenza presente in diversi ambiti e a ogni livello istituzionale e che finisce per diventare una vera e propria ideologia del laissez faire che dal campo economico (lasciamo libero il mercato da vincoli di natura pubblica) finisce per riversarsi in quello politico-amministrativo: chi esercita un potere pubblico attribuitogli dalla legge non dovrebbe rispondere di ciò che fa se non ai cittadini quando saranno chiamati a esprimersi con il loro voto.

Questa tendenza a ridurre la questione democratica al solo momento elettorale rientra pienamente nel solco del populismo, se a questo termine attribuiamo un significato specifico rispetto all’uso comune che se ne fa. Il populismo non è semplicemente uno stile o una modalità di fare politica che cerca esplicitamente il consenso di cittadini più o meno organizzati, bensì una strategia che si pone in opposizione netta all’esperienza democratico-costituzionale e risulta particolarmente insidiosa proprio perché assolutizza il concetto di sovranità popolare, privandola del contesto e delle modalità idonee al suo esercizio e contrapponendola tanto al pluralismo di poteri quanto alla tutela di un nucleo forte di diritti fondamentali. Non è un caso che chi intende proporsi come punto di riferimento internazionale di questa “nuova” ideologia definisca il proprio paradigma di governo come “democrazia illiberale” (Viktor Orbán).

La cd. legge sulla separazione delle carriere dei magistrati, approvata da pochi giorni dopo due passaggi parlamentari nei due rami del Parlamento e che con tutta probabilità verrà sottoposta a referendum costituzionale, fin dalla sua denominazione nel disegno di legge proposto dal Governo (“Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”) ha cercato di sfuggire alle critiche relative al possibile vulnus democratico. La stessa relazione di accompagnamento a firma della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, molto pacata, pare voler semplicemente “aggiustare” l’ordinamento giudiziario ai principi del processo penale. Poco più che una questione tecnica, dunque: “Ferma restando l’esigenza di non limitare in alcun modo l’indipendenza dei magistrati requirenti e giudicanti, si dà attuazione alla separazione delle loro carriere in modo conforme alla struttura più coerente con le regole fondamentali del processo penale, mantenendo altresì il presidio costituito dal Consiglio superiore della magistratura in una sua nuova duplice conformazione. Nel quadro di una rivisitazione della forma di autogoverno, è valorizzata la funzione disciplinare nei riguardi degli appartenenti alla magistratura giudicante e a quella requirente, conferendo a tale funzione valore giurisdizionale e istituendo un organo indipendente deputato ad amministrarla”.

Che le cose non stiano propriamente in questi termini e che si tratti di una novità legislativa molto più controversa di quella che si vorrebbe far passare risulta evidente dal dibattito acceso che si è sviluppato tanto in ambito accademico e professionale che nell’opinione pubblica. Al di là delle diverse posizioni in campo, a ben vedere è lo stesso Ministro Nordio a rimettere al centro della discussione la questione democratica che altri esponenti illustri della maggioranza avevano tentato, anche a legge approvata, di minimizzare. Le sue parole in un passaggio dell’intervista al Corriere della Sera del 3 novembre 2025 sono pesanti come macigni: «Il governo Prodi cadde perché Mastella, mio predecessore, fu indagato per accuse poi rivelatesi infondate. Mi stupisce che una persona intelligente come Elly Schlein non capisca che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo».

Non so se sia frutto di goffaggine o atto di trasparenza e onestà intellettuale, ma certamente questa dichiarazione del Ministro rivela ciò che sembrava nascondersi nelle pieghe delle valutazioni tecniche, la sua finalità politica di fondo: evitare le inchieste su chi è al Governo. Come può la Schlein, che guida un partito che ha avuto nel passato contraccolpi seri per via di indagini giudiziarie, votare contro questa legge, non capendo che la sua introduzione gioverebbe anche a lei nel prossimo futuro?

Lasciamo del tempo al Ministro e a tutti noi per pensare a questo dilemma che riguarda l’autolimitazione del potere e che riassumerei in questi termini: come può chi è al potere decidere per una limitazione del proprio stesso potere?

Per ora è sufficiente rimarcare il fatto che la separazione delle carriere ha a che fare, anche per chi l’ha pensata e disegnata, con una certa limitazione del controllo giurisdizionale e, dunque, con la separazione dei poteri, nella consapevolezza che senza limiti al potere di chi ha potere non c’è democrazia.

Professore ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano, dove coordina il Centro di Ricerca in Criminologia e Politiche Pubbliche. Tra i suoi libri più recenti: Oltre la paura. Affrontare il tema della sicurezza in modo democratico (con A. Ceretti, Feltrinelli, 2018) e La forza di polizia. Uno studio criminologico sulla violenza (Giappichelli, 2020).

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