Zohran Mamdani ha messo insieme una coalizione di minoranze non sui diritti identitari, bensì su questioni economiche generali: potersi permettere di vivere la propria città. Questo basta a farne un rosso succhiatasse. Si sono lette cose stravaganti. Per esempio, sul virus europeo del socialismo che sta contagiando gli Stati Uniti; oppure sulla linea che unirebbe Bannon e Mamdani, a conferma della virata interventista e statalista che uccide la società liberale. Parole in libertà, appunto.
Il socialismo non è una prerogativa europea. E non è identificabile con il comunismo. Ha una stretta parentela con il liberalismo (Mill, Hobhouse, Green). Carlo Rosselli lo definiva «il liberalismo per la povera gente». Ha dato i suoi frutti migliori nel governo delle città. E ha rivestito un ruolo cruciale nello sviluppo delle grandi città nell’era dell’industrializzazione. San Francisco, Detroit, Chicago, New York, Seattle sono quel che sono oggi grazie alle politiche di proprietà pubblica dei servizi (dai trasporti agli acquedotti alle scuole) a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento.
Secondo gli storici (utilissimo il volume di Arnaldo Testi sul Secolo degli Stati Uniti), all’origine ci fu la necessità di reagire all’attacco delle autorità federali contro l’ondata di scioperi ferroviari: molti gruppi sindacali allora si convinsero della necessità di entrare direttamente in politica. Candidati sostenuti dai sindacati conquistarono diversi seggi al Congresso e cariche di governatore e di sindaco. Di qui l’impulso, da parte dei comuni, all’acquisizione delle infrastrutture. L’Assemblea dei meccanici di San Francisco, nel 1881, chiese e ottenne la proprietà comunale del gas, dell’acqua e delle macchine per la nettezza urbana, oltre a richiedere la giornata lavorativa di otto ore nel settore pubblico e salari più elevati per gli insegnanti.
A fine Ottocento, quando le organizzazioni sindacali di New York City redassero il programma elettorale su cui Henry George fu invitato a candidarsi a sindaco, inclusero il progetto di proprietà pubblica e di gestione del trasporto pubblico urbano. Gli elettori premiarono questa politica e nel 1894 sancirono con un referendum la gestione e la proprietà pubblica della metropolitana. Le metropoli americane sono nate dall’impulso del socialismo municipale.
New York è ancora oggi più socialista di Bologna: ha acqua pubblica e gratuita nelle case; scuole pubbliche; sostegno ai senzatetto e ai non abbienti; trasporto; e affitti calmierati (anche se in larga parte annullati da Giuliani e Bloomberg). Scriveva due giorni fa il severo New York Times che la proposta di Mamdani di congelare gli affitti per il milione circa di appartamenti a canone stabilizzato della città è quella «più facile da realizzare» perché non grava sul bilancio comunale e continuerebbe il lavoro di Bill de Blasio.
È prevedibile che i mezzi di informazione (di proprietà di oligarchi e affaristi) urlino al terrore rosso. Eppure, scuole materne a prezzi accessibili darebbero respiro alle famiglie con un impatto positivo sul lavoro. New York City, ci dice il severo New York Times, non cresce ed è depressa. La città ha bisogno di un ceto medio forte. Non vive di super-ricchi.
Nei quartieri non turistici le strade sono buie di sera e vuote di giorno, anche perché Amazon ha decimato i negozi e i grandi magazzini. La città è il luogo di vita. Non la nazione. Che resta un’entità ideologica. La città è il luogo in cui si sperimentano soluzioni a problemi concreti che nessun piano nazionale potrebbe affrontare.
Anche per questo il socialismo municipale è unico, imparentato con il liberalismo e il civismo repubblicano, ma non associabile alla socialdemocrazia classica, che prevede interventi pianificati del governo centrale. Per le infrastrutture e i servizi vitali primari, la città è la sede del governo della vita. Brandire lo spettro rosso è un nonsenso.
Perché la rinascita delle città è vantaggiosa per tutti, anche per i signori delle rendite che vivono di turismo. I teatri di Broadway che chiudono e le avenues che si trasformano in buie terre di nessuno non fanno bene né al turismo né allo spirito.

