L’elezione del sindaco di New York sarà il 4 novembre, ma i primi elettori stanno esprimendo le loro preferenza già da sabato 25 ottobre, con l’apertura dell’early voting. I sondaggi confermano Zohran Mamdani, il candidato democratico, in notevole vantaggio sui suoi due principali rivali: da una parte c’è Andrew Cuomo, sconfitto alle primarie, che si è presentato come indipendente con un certo apprezzamento di Donald Trump, dall’altra il contendente repubblicano Curtis Sliwa – conduttore radiofonico e fondatore dei Guardian Angels, un’organizzazione privata per la prevenzione del crimine – che, non a torto, ha ricordato che non è con le intenzioni di voto che si vince. Nel frattempo, giovedì 30 ottobre, a Brooklyn, i democratici tenevano un gala che è stato definito una celebrazione del “potere nell’unità”, benché il senatore di Brooklyn Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato, non appoggi Mamdani.
Giovedì 23 iniziava con l’endorsement di Eric Adams, l’attuale sindaco di New York, a Cuomo che, a dispetto delle enormi rivalità precedenti, Adams ha definito “fratello”. A unirli c’è, di sicuro, il sentimento islamofobico che entrambi nutrono nei confronti di Mamdani. Cuomo lo ha detto senza veli e per l’ennesima volta quello stesso giorno, nel corso di un’intervista con il conduttore conservatore Sid Rosemberg, nella sua trasmissione radiofonica: «Le vite delle persone sono a rischio. Dio non voglia che ci sia un altro 11 settembre! Puoi immaginare Mamdani in carica?» ha detto Cuomo. «Certo che posso. Esulterebbe!» gli ha risposto Rosemberg. «Questo è un altro problema. Ma riesci a immaginare cosa sarebbe successo in questa città se Mamdani fosse stato in carica l’11 settembre?» è stato l’affondo di Cuomo.
Ross Barkan, autore del libro The Prince, sulle machiavelliche malefatte di Andrew Cuomo, interpellato in merito all’endorsement di Adams, mi ha detto: «Sono rimasto sorpreso perché solo poche settimane fa Adams ha definito Cuomo “un serpente e un bugiardo”. I due sono arrivati a un accordo perché Mamdani è un socialista, anzi “un comunista”, come ha sostenuto Adams riprendendo il linguaggio di Trump, che deve quindi essere sconfitto a tutti i costi. Questa mossa non avrà un grande impatto sulla corsa di Cuomo, se non un eventuale rilancio del tutto momentaneo. Eric Adams è davvero molto impopolare, a causa delle accuse di corruzione, i suoi sondaggi sono bassissimi, e Cuomo non solo è indietro di percentuali a due cifre, ma ha meno soldi e gode di minor sostegno. Direi che la sua strada verso la vittoria è strettissima, ammesso che ce ne sia una. Avere Eric Adams al suo fianco non farà grande differenza».
Le ostilità dei democratici nei confronti di Mamdani sono evidenti, basti pensare che il leader dei deputati Dem al Congresso ha aspettato il 24 ottobre per dargli l’endorsement, prima che fosse troppo tardi per rimediare a un errore probabilmente imperdonabile per la sua carriera.
Mi dice ancora Ross Barkan: «In ogni caso, ora Zohran ha il sostegno di un certo numero di personaggi di quell’area, che saranno importanti per la realizzazione dei punti chiave del suo programma, come il congelamento degli affitti, gli autobus gratuiti, il childcare universale e altri importanti obiettivi. Ai fini della vittoria, però, quegli endorsement non significano tanto quanto il voto che ha ricevuto alle primarie. Inoltre è giovane, carismatico e abilissimo nel comunicare e nel raccogliere fondi, e ha saputo sfruttare il momentum della vittoria alle primarie, continuando ad accrescere il suo sostegno. Mi aspetto non solo che vinca, ma che vinca in maniera consistente, cosa che gli darà molta autorevolezza e aumenterà il suo potere. Alle primarie, tanti democratici hanno votato per Cuomo perché non conoscevano Zohran o lo conoscevano solo superficialmente, ma dopo avergli dato una seconda occhiata ora non hanno dubbi nel sostenerlo. Quanto ad Hakeem Jeffries, leader della minoranza democratica alla Camera dei Rappresentanti, il suo endorsement in extremis è emblematico del fatto che Zohran vincerà. Penso che sia una scelta di convenienza personale, per non mettersi definitivamente dalla parte perdente. Oltretutto Jeffries deve tener conto della minaccia incombente di una sfida alle primarie dell’anno prossimo, prima delle elezioni di medio termine, per cui non gli conviene inimicarsi troppo la sinistra del suo distretto di Brooklyn. È chiaro che non voleva sostenere Mamdani e che ha aspettato più che poteva nella speranza che Cuomo si riprendesse. Ma non è successo, e questa è l’unica ragione del suo endorsement».

Domenica 26 ottobre si è celebrato il punto culminante della campagna elettorale di Zohran Mamdani con lo spettacolare comizio New York Is Not For Sale, nel tempio degli Us Open di tennis, pieno zeppo: «Rivolgendo il mio sguardo ai più di 13.000 di voi, qui al Forest Hills Stadium, viene la tentazione di credere che questo momento sia stato da sempre scritto nel destino», ha detto poco dopo l’inizio del suo discorso. L’appuntamento è stato uno degli eventi più entusiasmanti, se non forse il più entusiasmante, dei dieci anni della Political Revolution, il movimento cui Bernie Sanders diede vita nel 2015, con la sua corsa alle primarie presidenziali democratiche del 2016. Con Mamdani e Sanders c’era sul palco anche Alexandria Ocasio Cortez. Tutti e tre si tenevano per mano, a braccia alzate, di fronte a una folla mai vista in una situazione simile. «Per favore, facciamo un po’ di baccano per il senatore Bernie Sanders. Questa notte sono qui davanti a voi soltanto perché il senatore ha avuto il coraggio di resistere da solo per così tanto tempo. Parlo la lingua del socialismo democratico soltanto perché è stato lui a parlarla per primo».

Tra i tanti ospiti che domenica scorsa si sono avvicendati sul palco prima del gran finale con Aoc [Alexandra Ocasio Cortez], Bernie e Zohran, l’unica voce un po’ stonata, nonostante l’endorsement concesso a Mamdani, è stata quella di Kathy Hochul, governatrice dello Stato di New York dal giorno delle dimissioni di Cuomo in seguito alle accuse di molestie sessuali. Ascoltando il suo discorso quasi esclusivamente improntato sulla retorica dell’opposizione a Trump, il pubblico del Forest Hills Stadium – molto più esigente, nella concretezza delle richieste, dei manifestanti del No Kings Day – ha più volte cercato di portarla su un argomento scottante, sovrapponendo alla sua voce cori di «Tax the rich». L’insistenza dei canti è stata tale che a un certo punto Hochul non si è potuta esimere da una pur vaga risposta: «Vi sento», ha detto, «amo vedere tutta questa energia e passione». Ma in alcune interviste successive ha ribadito la propria contrarietà alla proposta di Mamdani di aumentare del 2% la tassazione di coloro che hanno un reddito superiore a un milione di dollari.

Molto incisivo e caratterizzato da ritmo e accenti impetuosi e a tratti travolgenti è stato il discorso di Aoc. L’erede di Bernie Sanders si è focalizzata sul fatto che New York non è in vendita e che gli interessi privati e speculativi devono smettere di impossessarsi di ciò che è pubblico, come hanno fatto per anni, erodendo istituzioni, servizi e beni pubblici a vantaggio, ad esempio, di una gentrificazione che ha tolto a molti newyorkesi la possibilità di essere liberi di decidere del proprio futuro. Ecco perché, ha detto, è fondamentale la mobilitazione delle forze popolari, coese in un’unione che partendo dal basso sia in grado di minare, tanto a New York quanto a livello nazionale, l’invadenza e l’avidità dei poteri economici in nome della giustizia e della dignità.
Quanto a Sanders, oltre a sfoderare il consueto repertorio sulle sproporzionate diseguaglianze sociali e disfunzioni di un sistema che, gestito da una spietata oligarchia bipartisan, affligge milioni e milioni di abitanti, ha sottolineato l’importanza e l’eccezionalità di questa particolare elezione newyorkese: «Il motivo per cui questa campagna ha generato così tanto interesse ed eccitazione in tutto il mondo è il fatto che la gente vuole conoscere la risposta a questa semplice domanda: nel 2025, in una situazione in cui le persone al comando non hanno mai avuto così tanto potere economico e politico, è possibile per la gente comune, appartenente alla classe lavoratrice, unirsi e sconfiggere quegli oligarchi? Avete dannatamente ragione, possiamo farcela», ha concluso Sanders, chiamando direttamente in causa la platea, e ha aggiunto: «La vittoria a New York darà speranza e ispirazione non solo al nostro intero Paese, ma al mondo intero. Ecco cosa c’è in ballo, qui».

Infine Zohran, la stella principale della serata, che tanti vorrebbero vedere come futura stella polare del Partito democratico. Con il viso aperto e un sorriso rassicurante, con una sicurezza mai ostentata con vanità, che scaturisce da una naturale forza magnetica, ha ripercorso il periodo di «un anno e tre giorni», che lo ha portato dal lancio della sua campagna – avvenuto nell’anonimato più totale, senza telecamere a riprendere l’annuncio, con un indice di gradimento che dopo quattro mesi era ancora inchiodato all’uno per cento – al momento presente, di fronte a quell’incredibile pubblico del Forest Hills Stadium.
«Credo che questa città sia come l’universo, in continua espansione», ha detto. «Ci meritiamo un’amministrazione ambiziosa quanto i lavoratori newyorkesi che rendono questa città la più grandiosa del mondo. Non possiamo aspettare che lo faccia qualcun altro. Non possiamo permetterci questo lusso, perché aspettare troppo spesso significa continuare a dare fiducia a coloro che ci hanno portato fino al punto disastroso in cui ci troviamo. Il 4 novembre, riporteremo la nostra città sulla traiettoria che le appartiene. E così facendo risponderemo a una domanda che tormenta la nostra nazione fin dagli albori della sua fondazione. A chi è consentito essere libero? Alcuni conoscono la risposta, senza esitazione: sono gli oligarchi che hanno accumulato enormi ricchezze sfruttando le persone che cominciano a lavorare prima che le luci dell’alba irrompano all’orizzonte, e finiscono ore dopo che il colore si è ritirato dal cielo. Sono i robber barons d’America, convinti che i loro soldi diano loro il diritto di contare molto più del resto di noi. Non parlo solo dei Bill Ackman e dei Ken Langone del mondo. Parlo di persone i cui nomi non ci sono familiari, ma che non si fanno scrupolo di versare ai super PacAC [le organizzazioni cui è consentito raccogliere fondi illimitati per la campagna elettorale, ndr] più soldi di quanti ne dovrebbero mai pagare in tasse, persone che esultano quando quei comitati inondano le nostre televisioni di spot con la scritta ‘jihad globale’ impressa sulla mia faccia».
E ancora: «Amici miei, il mondo sta cambiando. Non è questione del “se” questo cambiamento arriverà. È questione di ‘chi’ lo attuerà. Abbiamo davanti a noi un’opportunità che pochi hanno avuto, e che ancora in meno hanno colto. È l’opportunità di mostrare al mondo che cosa significa vincere la libertà. È l’occasione per essere all’altezza dell’eredità lasciata da chi ci ha preceduto. Non possiamo decidere la portata di una crisi. La nostra scelta riguarda il modo in cui reagiamo. Andiamo a vincere un City Hall che lavori per coloro che fanno fatica a comprare da mangiare, non per coloro che fanno di tutto per comprare la nostra democrazia. E aspettiamo con entusiasmo il 1° gennaio, quando il duro lavoro di governare avrà inizio».

