Sopra il vulcano

Campi Flegrei: il terremoto e le persone abbandonate dalla politica. Una analisi e una testimonianza in presa diretta di chi ha visto e vissuto le tre importanti scosse che hanno colpito l’area e chi la abita.

Ad intervalli irregolari da poco meno di due anni, in occasione di ogni nuova forte scossa, l’attenzione di giornali ed opinione pubblica si concentra sull’attuale crisi bradisismica in corso nei Campi Flegrei.
L’accavallarsi di interviste, reportage e commenti non riesce a rappresentare in maniera chiara, però, la situazione particolare che la popolazione di quest’area sta vivendo. Da abitante dei Campi Flegrei, per giunta nella zona, la Solfatara, in cui i fenomeni sono, finora, più numerosi ed accentuati, cercherò di dare un mio personale contributo.

Non tenterò di fare una lettura scientifica del processo vulcanico in atto, non ne ho le competenze e finirei solo col dare una versione di terza o quarta mano degli studi che tanti ricercatori svolgono da anni sul vulcano. Del resto, se volessimo correre dietro a tutte le dichiarazioni degli studiosi, saremmo nella confusione più totale, fra chi sostiene l’opportunità di svuotare i pozzi presenti nell’area, chi perora la causa delle perforazioni geotermiche, chi dice che dal punto di vista vulcanico la situazione è del tutto sotto controllo, ma poi non ci sa dire se il magma è ancora a 6 od 8 km di profondità, oppure se abbiamo alcuni dicchi di magma a profondità minori, e però, nel dubbio, sottoscrive come coautore sia studi che sostengono la prima tesi che studi che sostengono la seconda, e chi, a mio avviso giustamente, getta l’allarme sulla imprevedibilità della situazione in atto.

In questa confusione totale, alcuni punti però vanno fissati.

Il primo è che, se torna utile distinguere il rischio vulcanico da quello sismico, come ha fatto la Protezione Civile, elaborando due distinti piani di emergenza, lo si può fare solo tenendo ben presente che entrambi i rischi sono il prodotto di un unico processo di natura vulcanica.
Il secondo punto è che nessuno ha mai dichiarato ufficialmente, né potrebbe mai farlo, che i tempi di preavviso di una eventuale eruzione saranno minimo di 72 ore. Questo limite è solo presente nel piano di evacuazione generale per rischio vulcanico, ma unicamente come tempo che la Protezione Civile si è dato per riuscire ad evacuare tutta l’area. Ammesso, e concedetemi di avere grandi dubbi su questo, visto il caos totale che si è verificato in occasione di ogni forte crisi sismica, che la Protezione Civile sia effettivamente in grado di svuotare quest’area, abitata da centinaia di migliaia di persone, in 72 ore, è chiaro che qui si sta scommettendo che il vulcano ci dia effettivamente tutto questo tempo.
Il terzo punto è che i sismi dell’area sono ben diversi da quelli tettonici della zona appenninica, in quanto si generano a profondità estremamente superficiali, e ciò comporta che i loro effetti in superficie sono molto più intensi di un sisma tettonico di pari potenza, anche se quest’ultimo investirà un’area geografica più estesa. La scossa più forte, quella di magnitudo 4.6 del 13 marzo scorso, ad esempio, ha fatto registrare una accelerazione al suolo addirittura superiore a quello verificatosi nel 2016 tra Accumoli e Amatrice. In quell’occasione le accelerazioni al suolo raggiunsero picchi di 0.6/0.65g, mentre quello nei Campi Flegrei ha raggiunto 1.1g., valori mai registrati finora in Italia. Purtroppo, tanto per capirci, è l’accelerazione che conta sulla tenuta sismica degli edifici.

Non tenterò neanche di riportare lo stato d’animo, le paure, lo stress, cui siamo sottoposti da mesi. Si tratterebbe comunque di un punto di vista soggettivo e parziale, utile certamente a destare l’empatia del lettore, ma incapace di dare una visione adeguatamente precisa della situazione. Molto più utile è a mio avviso partire dall’analisi del comportamento che le istituzioni hanno avuto di fronte al problema e spiegarsi anche le diverse reazioni della popolazione. Parlo genericamente di istituzioni e non di governo perché, purtroppo, sia il governo centrale, di centrodestra, che gli enti locali, retti da maggioranze di centrosinistra, hanno avuto finora avuto la stessa linea di comportamento, che si può sintetizzare col fare il meno possibile per spendere il meno possibile.

Avete voluto vivere su un vulcano, ci è stato detto, quindi conoscevate i rischi ed ora cosa pretendete.

Sono stato testimone di ben tre crisi bradisismiche. Nelle prime due, quella del 1970 e quella del 1983-85, di fronte ad un fenomeno allora quasi completamente sconosciuto, le decisioni delle istituzioni furono drastiche. Furono evacuate interamente le aree ritenute a massimo rischio, nel ’70 lo storico Rione Terra, nell’83-85 l’intero centro storico di Pozzuoli. Una scelta certamente piena di contraddizioni, in grado di suscitare grossi appetiti speculativi, e che provocò enormi danni al tessuto sociale della città, ma che, soprattutto, costò moltissimo alle casse dello Stato, dovendo sia garantire la sistemazione degli sfollati che edificare le nuove abitazioni, interi quartieri. Ebbene con questa nuova crisi, che ha superato di oltre un metro il sollevamento massimo dell’85 e che è caratterizzata da una sismicità molto più forte, le autorità rifiutano ogni discorso di evacuazione preventiva. Questo rifiuto sarebbe una scelta discutibile, ma comprensibile, se fosse unicamente dettata dall’esigenza di non devastare per la terza volta il tessuto sociale di un’area popolatissima, col rischio che poi l’evacuazione si riveli un falso allarme.
Ma per essere tale dovrebbe avere come fondamentale presupposto due condizioni.
La prima è che tutti gli edifici nell’area siano in grado di resistere alla massima potenza possibile delle scosse che gli scienziati hanno fissato in 5.1 di magnitudo (finora la più potente verificatasi è stata di magnitudo 4.6).
La seconda è che ci sia la possibilità (vie di fuga, soluzioni di trasporto, ecc.) di evacuare la popolazione in poche ore.
Ci sono queste condizioni? Assolutamente no!
Secondo stime ufficiali, basate su una prima sommaria valutazione della vulnerabilità degli edifici della zona a più alto rischio sismico, la cosiddetta zona rossa, studio condotto su quasi 13.000 edifici, quasi la metà di questi è collocata fra un rischio medio ed un rischio alto, mentre il dieci per cento risulta a rischio elevato. Sono cifre impressionanti, tali da suscitare lo spettro di una nuova Casamicciola, dove col sisma del 1883 morì quasi la metà della popolazione. Per quanto riguarda le vie di fuga, è stato lo stesso responsabile nazionale della Protezione Civile, Ciciliano, a dichiarare che gli interventi programmati per attivarle, richiedono almeno un altro anno e qui non discuto neanche sull’evidente insufficienza di queste vie anche quando saranno pronte. 

È evidente allora che qui le istituzioni stanno scommettendo sulla pelle di migliaia di persone, pur di non prendere decisioni costosissime dal punto di vista economico e sociale. Con la sua frase infelice, Ciciliano ha, senza volerlo, sintetizzato la reale linea politica del governo: “Con una scossa di quinto grado cadono i palazzi e conto i morti. Funziona così”. Ma un tale atteggiamento non lo si può rivendicare così sfrontatamente, ed ecco allora che il governo ha messo al centro tutta una serie di argomenti utili a sollevare polveroni.

Avete voluto vivere su un vulcano, ci è stato detto, quindi conoscevate i rischi ed ora cosa pretendete. Non mi risulta che stesso discorso sia stato fatto, per fare qualche esempio, per i Fiorentini che vivono lungo l’Arno, o i Veneziani, che combattono contro l’acqua alta. Inoltre, se questo capzioso ragionamento fosse valido, dovrebbe essere esteso praticamente a tutta la nazione, attraversata come è da faglie sismiche attive e varrebbe per i cittadini dell’Aquila ed Amatrice. Né le istituzioni possono farci questo discorso, dato che una grande fetta delle costruzioni degli ultimi decenni è di edilizia popolare.

Se c’è un grave rischio sismico è perché molte case sono abusive. Niente di più falso. La percentuale di abusivismo nei Campi Flegrei è molto più bassa della media della regione campana, ed è in linea invece con la media nazionale. Inoltre, essa è presente soprattutto ai margini e all’esterno della zona rossa ristretta (quella per il rischio sismico), perché quella zona è da decenni sottoposta ad un controllo strettissimo. Ma poi, non è certo perché uno vive in una casa abusiva, che lo si abbandona a sé stesso, in pericolo di vita!
Mi fermo qui nell’elencare queste varie e squallide “azioni di propaganda”, tutte avendo più o meno stessa natura e valenza. Voglio solo far notare come i Sindaci, con la loro retorica sulla volontà incrollabile dei cittadini flegrei di non lasciare la loro terra, finiscono col coprire le scelte attendiste del governo centrale.

Un ultimo punto va detto sul comportamento dei politici, ed è l’arroganza con cui si rapportano alla popolazione. Ciciliano con le sue uscite ne è un esempio, ma molti altri non sono da meno. Il sindaco di Pozzuoli, Manzoni, per mesi si è rifiutato di incontrare i comitati di cittadini e prendere in considerazione le loro richieste. Cosenza, assessore del Comune di Napoli, dopo la scossa di magnitudo 4.6 che ha colpito soprattutto Bagnoli, quartiere di Napoli, ha pubblicato un cinico post su Facebook in cui si rallegra che tutto sommato si sia superato un notevole stress test degli edifici. Certamente non ci rassicura il fatto che queste considerazioni vengono da uno che in occasione del terremoto a L’Aquila del 2009, è stato sottoposto a procedimento penale per fatti gravi in quanto componente della commissione di collaudo delle opere realizzate e non sia stato assolto ma se la sia cavata per intervenuta prescrizione. Cosenza qui dimentica che gli stress test non vanno fatti con le persone dentro le case, come invece è capitato ai suoi concittadini. Inoltre, nella foga del ragionamento, scrive: “In altri termini il patrimonio costruito ha resistito senza collassi strutturali a una accelerazione più grande di quella con cui si progetterebbe una nuova moderna costruzione”, quindi, lui che non è un cittadino qualunque, ma l’assessore alle infrastrutture di Napoli, ha ammesso candidamente che i limiti richiesti per la costruzione in termini di resistenza alle accelerazioni sono molto inferiori alle accelerazioni misurate recentemente. Quindi noi dobbiamo presumere che ciò valga anche per gran parte delle vecchie costruzioni, per cui i futuri stress test, come li definisce lui, assumono i contorni di una vera e propria roulette russa.

È inutile che continui nella critica alle scelte delle istituzioni. Per chi è interessato, può leggere i miei articoli sulla questione pubblicati sul sito “Operai contro”.

Bisogna spiegarsi ora l’atteggiamento della popolazione, che confusa da tante diverse e spesso discordanti voci di esperti, timorosa, giustamente, per il proprio futuro, stenta ad esprimere livelli di mobilitazione adeguati ed obiettivi comuni e precisi.

Sul piano della mobilitazione, finora solo gli abitanti di Bagnoli, dopo il 13 marzo, hanno risposto in maniera decisa, costringendo il ministro Musumeci ad incontrarli. Ma la forza di reazione popolare è ancora del tutto insufficiente, visto che i risultati finora ottenuti sono ancora più ridotti di quelli previsti per la crisi sismica precedente, del 20 maggio scorso. Ad esempio, mentre agli sfrattati di Pozzuoli (1.500 a maggio scorso) sono stati dati, anche se in ritardo, contributi di autonoma sistemazione, con scadenza dicembre 2025, per quelli nuovi di Bagnoli (quasi 400), i contributi dureranno solo sei mesi. Nessun comitato però è arrivato a sviluppare una critica radicale alla politica governativa verso gli sfrattati, politica in realtà condivisa anche dai sindaci locali, vedi come si è comportato Manfredi con gli abitanti delle Vele di Scampia. Le autorità si limitano, e col contagocce, a dare il contributo a chi è stato allontanato perché la sua casa è inagibile, mentre assistiamo ad una impennata assurda degli affitti nelle zone limitrofe. Alla faccia di ogni discorso di solidarietà, i proprietari di abitazioni di queste zone hanno subito pensato di approfittare triplicando i canoni. Il governo è indifferente a questo, escludendo ideologicamente ogni intervento di requisizione (salvo poi attuarlo quando la prospettiva è di lauti guadagni dei grossi imprenditori, come vuole fare al borgo di Coroglio) ed il risultato per gli sfrattati è o finire a decine di chilometri di distanza da Pozzuoli, pur continuando magari a dover lavorare o frequentare le scuole lì, oppure adattarsi a vivere ospiti di amici e parenti. Gli stessi alberghi non vengono requisiti, ma utilizzati tramite convenzione con Federalberghi, naturalmente in zone non turistiche e a distanze assurde da Pozzuoli. 

Pesa una consistente presenza di commercianti ed operatori turistici che sono interessati principalmente a minimizzare i pericoli per garantire la continuità degli affari.

Sul piano degli obiettivi, tutti i comitati sorti nell’area chiedono interventi per la messa in sicurezza degli edifici. La questione dell’esigenza di un temporaneo allontanamento della popolazione viene o aspramente contestata oppure semplicemente trascurata. Ma rendere antisismico l’intero patrimonio edilizio dell’area rossa non solo richiede un’analisi dettagliata del grado di vulnerabilità di tutti i fabbricati, ma anche interventi che nella stragrande maggioranza dei casi comportano l’allontanamento di chi in quei fabbricati ci vive. Richiedendo la messa in sicurezza, si finisce così per chiedere indirettamente anche l’allontanamento, senza però farlo in maniera corretta, lasciando così adito al governo di scrollarsi dalla gravissima responsabilità che si sta assumendo di tenere in edifici vulnerabili migliaia di persone durante un fenomeno che può dar atto a scosse molto forti, una situazione simile in questo a L’Aquila del 2009. Non a caso lo stesso Musumeci ha dichiarato che farà scattare l’evacuazione solo se lo chiederanno i territori, rilanciando la palla sui sindaci e la popolazione.

Pesa su questa scarsa determinazione della popolazione la sua eterogenea composizione sociale, con una consistente presenza di commercianti ed operatori turistici che sono interessati principalmente a minimizzare i pericoli per garantire la continuità degli affari. Pesa anche l’esperienza delle evacuazioni precedenti, che per i piccoli proprietari di casa è stato molto negativa. Tanti vecchi proprietari furono costretti a svendere a prezzi stracciati la propria ex abitazione, non potendo sostenere i costi dei lavori di ristrutturazione solo parzialmente coperti dallo Stato. 

Finora questa situazione di confusione e sostanziale immobilismo e passività delle persone, che si risvegliano solo dopo ogni scossa forte, non accenna ad essere superata. Se, però, il fenomeno continuerà ad intensificarsi ed aggravarsi, cosa che in realtà non mi auguro affatto, allora i nodi verranno al pettine, inchiodando alle proprie responsabilità governo ed enti locali.

Andrea Vitale, nato a Pozzuoli (NA) nel 1957, è docente in pensione, laureato in Filosofia, da sempre impegnato nelle battaglie contro i licenziamenti discriminatori e contro l’amianto.

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