Non è assolutamente tutto bene quel che finisce bene. L’arresto di Luisa Morgantini, già parlamentare europea, fondatrice e presidente di Assopace Palestina, del giornalista del Sole 24 ore Roberto Bongiorni, di un giornalista olandese e dei loro accompagnatori palestinesi – Mohammed Barakat detto Mike, notissima guida di Gerusalemme, e Sami Houraini, attivista di Youth of Sumud – a lungo interrogati nella stazione di polizia di Kiryat Arba, si è concluso con il rilascio nella tarda serata di giovedì 30 gennaio: dapprima gli italiani e solo molto più tardi i palestinesi, grazie al coraggio e alla chiarezza con cui Morgantini ha fatto sapere che non si sarebbero mossi fino a che non fossero stati liberati tutti, in assenza di qualunque fondamento all’accusa loro rivolta di sconfinamento in zona militare israeliana.
La pretesa di Israele di trasformare in zona militare l’intera regione di Masafer Yatta, in vicinanza di Hebron, dove è avvenuto l’arresto da parte di militari israeliani in tenuta da combattimento, è una ben nota copertura per l’azione cruenta e illegale che i coloni da anni perseguono, volta a espellere i palestinesi da tutti i villaggi della regione, per la quale hanno negli anni demolito illegalmente abitazioni, scuole, installazioni agricole e pastorali: come ben sa chi abbia assistito a tutta la sconvolgente sequela delle violenze israeliane immortalate da No Other Land, il docufilm ora sugli schermi, già vincitore di numerosi premi e candidato all’Oscar.
Dopo l’inizio della tregua con Gaza, sulla Cisgiordania si è rovesciata l’operazione militare “Muro di Ferro”, e a Tuba, nei pressi della località dove è avvenuto il fermo, coloni israeliani avevano bruciato un auto e massacrato di botte un attivista nonviolento, successivamente arrestato dalla polizia israeliana con altri quattro abitanti del villaggio.
Il fatto, a prescindere dai suoi sviluppi e conseguenze, è di una gravità estrema. Libertà e Giustizia ha rinnovato l’espressione della sua solidarietà sia a Roberto Bongiorni, sia, con particolare affetto, a Luisa Morgantini, la cui età e il cui stato di salute non le hanno neppur per un attimo impedito di proseguire la sua pacifica battaglia di “umanità, giustizia e nonviolenza attiva per un mondo senza armi e senza guerra”, e per “il diritto dei palestinesi alla vita, alla terra e alla libertà, e dei due popoli alla coesistenza pacifica in eguaglianza e libertà”, come si legge sul sito di Assopace Palestina.
Com’è noto, Kiryat Arba, uno degli insediamenti illegali più antichi in Cisgiordania, la cui costruzione è iniziata immediatamente dopo la guerra del 1967, ospita la tomba del suo più famoso residente, quel Baruch Goldstein, discepolo del rabbino suprematista e razzista Meir Kahane, che nel 1994 fu autore del massacro della Tomba dei Patriarchi a Hebron, un attentato terrorista in cui rimasero uccisi ventinove palestinesi e furono più di cento i feriti. Ora vi risiede Itamar Ben Gvir, che prima di entrare nell’esecutivo del governo Netanyhau aveva una foto di Baruch Goldstein nel suo ufficio.
Dopo la vergogna di Hebron, dove dall’alto di una città semi-sequestrata e in gran parte violentemente interdetta alla libera circolazione dei suoi abitanti piovono sui “bassi” palestinesi rifiuti di ogni sorta e dove la violenza razzista dei coloni non ha limite, la vergogna di Kiryat Arba aggiunge un simbolico alone di barbarie e arbitrio a questo arresto, che avrebbe potuto avere conseguenze tanto brutali quanto normali nell’universo dell’occupazione israeliana, se la grande notorietà di Luisa Morgantini non avesse allertato immediatamente le istituzioni italiane ed europee.