Autonomia differenziata: una legge ridimensionata da cancellare con il referendum

10 Gennaio 2025

Articolo pubblicato su Micropolis
Mauro Volpi, 5 Gen 2025

Titolo originale Autonomia differenziata: una legge ridimensionata da cancellare con il referendum

La decisione della Corte sull’ammissibilità del quesito referendario è attesa entro il 10 febbraio 2025. Mentre c’è chi propone alla maggioranza una soluzione condivisa che scongiurerebbe la chiamata alle urne dei cittadini.

Esiste ancora la legge Calderoli di attuazione dell’autonomia differenziata dopo la sentenza n. 92/2024 della Corte costituzionale? Certamente è stata largamente svuotata, ma la Corte non ha accolto la richiesta delle quattro Regioni ricorrenti (Campania, Puglia, Toscana e Sardegna) di dichiarare incostituzionale l’intera legge. La sentenza ha ridimensionato la legge in tre diverse modalità.

In primo luogo ha dato un’interpretazione dell’art. 116 c. 3 Cost. opposta a quella posta alla base della legge Calderoli, che considera l’autonomia differenziata non come una “monade isolata”, ma inserita nel contesto della forma di Stato italiana quindi rispettosa del principio di unità e indivisibilità della Repubblica, dell’unicità del popolo nazionale (che nega l’esistenza di “popoli regionali …titolari di una porzione di sovranità”), dei principi di solidarietà, di eguaglianza, di effettiva garanzia dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) relativi ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Questi sono “tratti caratterizzanti…il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia”. All’autonomia differenziata si deve applicare il principio di sussidiarietà, in base al quale le funzioni amministrative devono essere esercitate dal livello di governo più adeguato e in grado di farlo con efficacia e efficienza e che funziona come un “ascensore” (dallo Stato alle Regioni agli enti locali) ma anche viceversa. Ne deriva che il trasferimento alle Regioni è un’eccezione alla ripartizione costituzionale delle competenze e può riguardare non materie o ambiti di materia, ma solo specifiche funzioni e deve essere motivato con riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto economico, territoriale, finanziario ecc., dando vita a un’istruttoria approfondita che preceda l’iniziativa regionale. Delle 23 materie indicate dall’art. 116 c. 3 ve ne sono alcune alle quali afferiscono funzioni“ il cui trasferimento è in linea di massima difficilmente giustificabile” e sottoponibile a un rigido controllo di legittimità costituzionale: commercio con l’estero, tutela dell’ambiente, produzione – trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, porti e aeroporti civili, reti di trasporto e di navigazione, ordinamento delle professioni, ordinamento della comunicazione, norme generali sull’istruzione (che devono garantire “l’identità culturale del paese”).

In secondo luogo la sentenza ha sancito l’incostituzionalità di varie disposizioni della legge. Tra queste la previsione che l’intesa Stato-Regione e la legge di attuazione trasferiscano materie o ambiti di materie anziché specifiche funzioni con una adeguata giustificazione, il conferimento al Governo del potere di determinare i LEP con decreti legislativi senza che siano stabiliti principi e criteri direttivi della delega, nonché del loro aggiornamento con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la procedura di determinazione dei LEP con dPCm stabilita nella legge di bilancio per il 2023 in attesa dei decreti legislativi governativi, la modifica con decreto interministeriale delle aliquote di compartecipazione delle Regioni al gettito dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite (previsione che potrebbe premiare le Regioni inefficienti non in grado di assicurare un adeguato impiego delle risorse trasferite dallo Stato).

Infine la sentenza ha formulato interpretazioni conformi alla Costituzione di varie altre disposizioni al fine di renderle non illegittime. Tra queste viene ribadito il ruolo centrale del Parlamento a garanzia dell’unità e del pluralismo, il quale comporta che l’iniziativa legislativa in materia non sia riservata al Governo, che le Camere abbiano il potere di emendare il progetto di legge che recepisce l’intesa, che la delega legislativa per la determinazione dei LEP sia stabilita con una legge contenente i principi e i criteri direttivi. Anche per le nove materie che la legge considera “no LEP”, questi devono essere determinati per il trasferimento di funzioni attinenti a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. La compartecipazione regionale al gettito dei tributi erariali può avvenire non sulla base della spesa storica ma dei costi e dei fabbisogni standard. Devono comunque essere salvaguardati livelli incomprimibili dei diritti costituzionali non sacrificabili per esigenze di bilancio.

Le reazioni della maggioranza alla sentenza costituzionale sono state tutt’altro che rassicuranti. Calderoli, Zaia e Fontana, ma anche Balboni di FdI, presidente della commissione affari costituzionali del Senato, hanno dichiarato che è stato salvato l’impianto generale della legge e quindi sarebbero sufficienti alcune modifiche volte a colmare i vuoti creati dalla sentenza. La maggioranza ha poi respinto la proposta di bloccare le trattative del Governo con Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria impostate sulla base della legge Calderoli. Infine si prevede la proroga di un anno del Comitato per i LEP presieduto da Cassese, costituito nel marzo 2023 con dPCm, che ha lavorato alla determinazione dei LEP in base ad un impianto dichiarato incostituzionale e ha dato l’incarico ad un comitato tecnico di dodici componenti, tra i quali vari consulenti delle Regioni interessate, di predisporre un documento sui fabbisogni standard fondato non sull’eguaglianza ma sulla differenziazione territoriale delle prestazioni. Vi è quindi il rischio di un’attuazione parziale della sentenza costituzionale che invece imporrebbe un’ampia riscrittura della legge. In particolare non è scontato l’accoglimento delle interpretazioni in base alle quali sono state salvate varie disposizioni, che non sono mai stati considerati come obbligatori per i giudici e meno che mai lo sarebbero per il Governo che potrebbe avallare e far approvare dalla maggioranza parlamentare intese con regioni “amiche” non rispettose delle interpretazioni contenute nella sentenza, le quali potrebbero esporsi a decisioni di incostituzionalità ma solo successivamente alla loro adozione.

L’unica garanzia che l’autonomia differenziata voluta dalla destra sia seppellita è rappresentata dal referendum abrogativo totale della legge Calderoli richiesto da 1.291.000 elettori. È del tutto contraddittorio sostenere come fanno esponenti della destra che la sentenza n. 192 avrebbe salvato l’impianto della legge e nello stesso tempo superato il referendum che mette in discussione proprio la legge nel suo complesso. Sulla questione è intervenuta il 12 dicembre l’ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione, la quale ha certificato la non legittimità della richiesta di referendum parziale avanzata da cinque Regioni sulle disposizioni annullate dalla Corte costituzionale in quanto non più vigenti, mentre ha sostenuto la legittimità del referendum di abrogazione totale, richiesto da CGIL, UIL, partiti di opposizione e numerose associazioni, riformulando il quesito da sottoporre agli elettori riferito alla legge n. 86/2024 “come risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024”. Le ragioni della decisione sono tre: “la sopravvivenza della legge nel suo complesso”, derivante dal rigetto di numerosi profili sollevati dalla Regioni ricorrenti al fine di sanzionare l’illegittimità totale della legge; il ricorso nella sentenza a un’interpretazione conforme a Costituzione che convalida varie norme della legge; l’intervento necessario del Parlamento per colmare i vuoti determinati dalla sentenza, a dimostrazione che quel che resta della legge è sufficiente “a dare corso…al disegno fondamentale e ai principi ispiratori di attuazione del regionalismo differenziato”. Sulla Cassazione sono piovute critiche di chi ritiene che siano cambiati i principi ispiratori della legge, ma ciò richiederebbe la sua intera riscrittura  e in ogni caso non sono stati bocciati dalla sentenza principi e norme presenti nelle legge e contestati dai firmatari del referendum, come l’eventuale compartecipazione al gettito dei tributi erariali maturati nel territorio regionale e la “corsia preferenziale” riservata alle Regioni che abbiano presentato atti di indirizzo sui quali è stato avviato il confronto con il Governo prima dell’entrata in vigore della legge.

Rimane aperta la questione della ammissibilità del referendum che deve essere decisa dalla Corte costituzionale entro il 10 febbraio 2025. Tre argomenti sono stati avanzati per contestarla. Il primo, secondo il quale la legge Calderoli sarebbe “costituzionalmente necessaria” in quanto attuativa di una disposizione costituzionale, è stato affossato dalla sentenza n. 192 che ne ha stabilito la natura non obbligatoria ma meramente facoltativa. Il secondo, derivante dal collegamento con la legge di bilancio del 2023, è caduto in quanto riguarda il procedimento di determinazione dei LEP dichiarato incostituzionale. Rimane solo la tesi secondo la quale il quesito non avrebbe i requisiti della omogeneità e della chiarezza, ma non è così in quanto l’omogeneità deriva dalla stessa qualificazione della legge come attuativa dell’art. 116 c. 3 e la chiarezza è insita nella volontà espressa dai firmatari di cancellare completamente il progetto approvato dalla destra.

Ovviamente non potevano mancare i pompieri che al fine di evitare il referendum, hanno proposto alla maggioranza un confronto per una riforma condivisa, prospettiva sulla quale la destra è stata e continua ad essere totalmente refrattaria. Molti considerano l’alto quorum di validità del referendum (la metà più uno degli elettori) come impossibile da raggiungere. Certo non sarebbe facile, ma la mobilitazione anche spontanea che vi è stata durante la campagna per la raccolta delle firme sta a dimostrare che tutto è possibile e che la gravità della posta in gioco è già molto chiara agli occhi di un numero ampio di cittadini, la cui maggioranza stando ai sondaggi è fortemente contraria. Non resta quindi che mantenere alta l’attenzione e la mobilitazione popolare contro il tentativo di spaccare l’Italia.

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.

×