L’autonomia differenziata dopo la sentenza della Corte costituzionale

23 Novembre 2024

Enzo Di Salvatore Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Cosa accadrà al referendum contro l’Autonomia differenziata? Come interverrà il Parlamento? In attesa della pubblicazione delle motivazioni alla base della sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre, una cosa si può dire con certezza: la Corte ha voluto confermare, una volta per tutte, che l’autonomia riveste un ruolo essenziale ma non al punto di minare l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l’eguaglianza tra i cittadini e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni della legge Calderoli, rendendo, di fatto, inapplicabile la legge nella sua interezza. E questo comporta che il Parlamento debba ora intervenire di nuovo, sostituendo le disposizioni dichiarate illegittime con altre disposizioni, che siano conformi a quanto stabilito dalla Corte. Non solo: essa ha anche precisato che molte altre disposizioni della legge devono essere interpretate in un certo modo e non in un altro, pena l’illegittimità anche di queste. Il punto, in estrema sintesi, è il seguente: la legge Calderoli vorrebbe fare dell’autonomia differenziata un’autonomia speciale, consentendo che ciascuna Regione possa far man bassa (interamente) di tutte le materie elencate all’art. 117 Cost. (tranne quelle espressamente escluse); e questo non sarebbe possibile.
D’altra parte, se la specialità è considerata al primo comma dell’art. 116 Cost. (e riguarda solo le cinque Regioni ivi elencate), mentre la differenziazione è disciplinata al terzo comma dello stesso art. 116 Cost., ciò vuol dire che specialità e differenziazione non sono la stessa cosa: per rendere speciali le altre quindici Regioni (Abruzzo, Marche, Lazio, ecc.) non sarebbe sufficiente una legge ordinaria, ma occorrerebbe una legge di revisione dell’art. 116 Cost. Ragion per cui, non ha senso che parte della classe politica continui a capovolgere la lettura della pronuncia e a ripetere che i giudici costituzionali abbiano inteso confermare la bontà della differenziazione in sé e che, pertanto, sia ora sufficiente apportare qualche ritocco qua e là alla legge. Esattamente il contrario: tra quanto stabilisce la Costituzione e quanto vorrebbe la legge Calderoli la distanza resta profonda. Vero è che il Parlamento per poter intervenire dovrà attendere necessariamente che la sentenza della Corte sia pubblicata e così pure i commentatori per dare della stessa un giudizio più approfondito. Il comunicato stampa ci fa sapere che quella legge è illegittima e ci dice anche perché, ma non ci dice quale sia stato il ragionamento seguito dalla Corte. Per esempio, non è chiaro come la Corte sia arrivata a stabilire che la legge Calderoli, nell’affidare al governo la determinazione dei LEP, sia priva di idonei criteri direttivi e che per questa parte essa limiterebbe «il ruolo costituzionale del Parlamento»: non è chiaro, cioè, in che modo questo rilievo si colleghi all’interesse delle Regioni ricorrenti e alla lamentata invasione della competenza regionale da parte dello Stato. 

Quello che, tuttavia, l’opinione pubblica si chiede ora è cosa accadrà con il referendum: si terrà? non si terrà? Anche in questo caso occorrerà attendere e vedere cosa stabilirà l’Ufficio centrale per il referendum (presso la Corte di Cassazione). Sempreché i quesiti proposti siano ammissibili in sé, l’Ufficio centrale, infatti, dovrà stabilire se, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, il referendum sia, per così dire, ancora attuale e conforme all’obiettivo perseguito dai promotori: nel caso del quesito referendario di abrogazione parziale della legge, l’Ufficio dovrà verificare se le disposizioni oggetto del referendum siano state dichiarate illegittime; nel qual caso dichiarerà che le operazioni relative non avranno più corso (art. 39, legge n. 352 del 1970); nel caso dei quesiti referendari di abrogazione totale della legge, il discorso si fa, invece, più complicato. In via di principio (e, come si diceva, a condizione che l’abrogazione totale della legge sia ammissibile in sé), non vi sarebbero problemi a consentire che il referendum si celebri comunque, poiché se la sentenza della Corte si muove sul piano della legittimità della legge, l’abrogazione referendaria prescinderebbe da ciò: l’obiettivo dei promotori è quello di abrogare la legge nel significato politico che esprime e non già perché essa sia presumibilmente illegittima.

Ma il problema è proprio questo: dalla proposta di abrogazione totale non è possibile ricavare un significato politico univoco e, dopo la pronuncia della Corte, quel significato potrebbe anche essere mutato: tanto più alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte. Quello che al momento sappiamo – e che la Corte una volta per tutte ha voluto confermare – è che entro la forma di Stato italiana l’autonomia gioca certo un ruolo essenziale, ma non al punto da porre a repentaglio l’unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l’eguaglianza tra i cittadini e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone. Non è molto, si dirà, ma non è neppure pochissimo.

Professore ordinario di Diritto costituzionale Università degli studi di Teramo. Ha scritto su diritto dell’ambiente, federalismo, Unione europea.

È direttore del Centro di ricerca “Transizione ecologica, sostenibilità e sfide globali” presso l’Università degli Studi di Teramo e Presidente del corso di laurea in diritto dell’ambiente e dell’energia presso la stessa Università.

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