Sarebbe una scena di comicità irresistibile quella del pugno di senegalesi ed egiziani caricati e scaricati e ricaricati sull’enorme pattugliatore della Marina italiana, avanti e indietro per l’Adriatico, che conversano fra loro rigirandosi reciprocamente lo stupore del non capirci niente. Come sempre ci azzecca la risata del Manifesto: “Rimpatriota”. Da seppellirla, la Sorella d’Italia. Purtroppo però c’è ben poco da ridere. Nel 2023 sono state ben 3041 le persone affogate nel Mediterraneo, e aspettiamo i conti del 2024. Non dovremmo perdere di vista l’enormità del male di cui stiamo parlando, quando cogliamo l’opportunità di sottolineare l’insipienza o la protervia di un governo, il nostro, che intendeva proporsi all’Europa come esempio di politica migratoria, ignorando la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre, che non riconosce come sicuri, ai fini del rimpatrio, 20 dei 22 Paesi che per questo governo lo sarebbero.
E quindi i giudici – meno male che ce ne è ancora qualcuno a Lussemburgo e in subordine anche a Roma – hanno parlato. Se ora dobbiamo parlare anche noi, we the people, oltre all’enormità del male cui una politica migratoria seria italiana ed europea dovrebbe porre fine, non dovremmo dimenticare, nell’ordine: il testo dell’articolo 605 del nostro codice penale sul sequestro di persona, che prevede da 1 a 10 anni di reclusione se chi priva qualcuno della libertà personale è un pubblico ufficiale; il diritto di emigrare, stabilito dagli articoli 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei diritti umani; l’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, che ribadisce quel diritto, e l’articolo 35 (quarto comma) della costituzione italiana, che prima di tutti gli altri documenti “Riconosce la libertà di emigrazione (…) e tutela il lavoro italiano all’estero”. Ricordandoci in modo commovente nella frase finale da dove viene, questa povera Italia che ora si vuole inflessibile modello di “difesa dei patri confini” per un’Unione europea non meno dimentica delle ragioni per cui era nata.
Ecco. La donna che dovrebbe farsi portavoce della maggiore forza di opposizione ha alzato una voce che di forte ha solo il volume, perché alla memoria di tutto questo non dà parola, come se lo avesse dimenticato. Parla di “danno erariale”. E ha ragione, allora, Massimo Giannini (Repubblica 19 ottobre), a ricordare a Elly Schlein che ben altro è in questione. Certo, è in questione “il patto costituzionale”. Ma non soltanto: qui noi dobbiamo dire di più. Lo è, quel patto, ma come anello della rete di patti che tiene il mondo ancora in equilibrio fra l’ideale di una giustizia universale (copyright Chantal Meloni) e la guerra. Perché c’è modo e modo di intendere i “confini della patria”, espressione vagamente ridicola sullo sfondo di 16 persone deportate per difenderli. Ancora una volta, non lasciamoci distrarre dal ridicolo: dove i “confini” esigono si versi sangue umano, non è solo con le guerre, questi omicidi di massa, che li si difendono. E’ anche adottando politiche migratorie criminali, indifferenti alla conseguenza che migliaia e migliaia di persone ogni anno siano private di libertà e futuro, o si perdano, rifiuti umani, sul fondo del nostro mare.