La destra cattiva

05 Ottobre 2024

Luigi Manconi

Articolo pubblicato su Repubblica
Luigi Manconi, 3 Ott 2024

Titolo originale La destra cattiva

Questo contenuto fa parte di Osservatorio Autoritarismo

Dal sottosegretario Andrea Delmastro al ddl sicurezza, ecco perché alcune azioni del governo si possono definire malvagie

È troppo scandaloso ritenere che la destra — meglio: una parte di essa — sia davvero cattiva? Scritto così, senza virgolette: cattiva, nel senso comune del termine, come indicato dai dizionari più autorevoli. Disposta al male, malvagia, moralmente riprovevole.

Facciamo un passo indietro. Oltre quarant’anni fa, insieme a molti simili e affini, cominciammo a smantellare un paradigma che ci aveva imprigionato per almeno tre lustri. Ovvero, l’equivalenza tra avversario politico e nemico. Insieme a quel pregiudizio ne criticammo radicalmente un altro, che del primo era l’essenziale fondamento ideologico: la superiorità morale della nostra parte su quella avversa. Si è trattato di un processo che ha portato al superamento di una concezione bellica e antidemocratica della competizione tra i gruppi sociali e le formazioni politiche.

È un dato ormai acquisito per la gran parte degli attori del conflitto. L’idea, cioè, che il confronto, anche quando asperrimo, è tra avversari e non tra nemici assoluti; e che i metodi di lotta devono rientrare tutti nel quadro della legalità; e che le ragioni della mia azione pubblica e della mia aspettativa di vittoria sono affidate alla razionalità delle argomentazioni e dell’offerta politica e non a un giudizio moralistico sulla minorità etica dell’avversario.

Tutto ciò acclarato e accettato, persiste tuttavia un dubbio: e se una parte della destra fosse davvero più cattiva? La brutale evidenza dei fatti propone alcuni esempi.

Nel giugno del 2020, il deputato di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro Delle Vedove chiedeva al ministro della Giustizia di «conferire un encomio solenne» a quei poliziotti penitenziari «che in operazione di particolare rischio hanno dimostrato di possedere, complessivamente, spiccate qualità professionali e non comune determinazione operativa».

Si tratta di quegli stessi agenti che, il 6 aprile di quell’anno, avevano consumato l’azione di repressione contro i detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Una «orribile mattanza» secondo il gip Sergio Enea, per la quale quasi un centinaio di poliziotti si trovano a processo con l’accusa di maltrattamenti e torture. Innocenti fino a sentenza definitiva, per carità, ma da qui all’encomio solenne ce ne corre.

Lo stesso Delmastro, ora sottosegretario alla Giustizia, ad agosto dichiarava: «Non mi inchino alla Mecca dei detenuti» e così, nel carcere di Taranto, faceva visita solo agli agenti. Si noti quanto sprezzo emerga da quel «alla Mecca dei detenuti» e quanta voluta ignoranza per quell’articolo del regolamento penitenziario che prevede la possibilità, per coloro che sono autorizzati (tra questi il parlamentare Delmastro), di verificare «le condizioni di vita dei detenuti».

Si dirà: ma questa non è altro che una scelta politica, condivisibile o meno. Eppure, negli atti e nelle parole di Delmastro, emerge qualcosa di più. Ovvero una nota di scherno che umilia i detenuti e li colloca in una posizione gerarchicamente inferiore. Ciò non corrisponde a un criterio politico, bensì a un sentimento morale, che finisce per “disumanizzare” quanti, per una ragione o per l’altra, si trovano in uno stato di minorità.

Un altro esempio. Le politiche migratorie rappresentano un discrimine profondo che divide sinistra e destra. Gran parte della politica di quest’ultima in materia è, oltre che irrazionale e autolesionistica, schiettamente reazionaria. Ma è perfettamente coerente con i presupposti ideologici e culturali di quello schieramento.

E tuttavia, tra le più recenti misure, c’è anche il divieto per il migrante privo di permesso di soggiorno di acquistare una carta sim: ancora un surplus di accanimento, un incrudelire, un eccesso di protervia che rimandano allo stato psicologico proprio di chi manifesta una predisposizione all’abuso. Siamo in presenza, cioè, di un atto di mera malvagità.

Si pensi a chi, sbarcato in Italia e spossessato di tutto, si vede interdetto persino l’elementare diritto di comunicare con i propri cari a migliaia di chilometri di distanza. Oltretutto, come ben si capisce, il solo effetto certo sarà l’estensione del mercato illegale delle schede telefoniche.

Ancora un esempio: nel disegno di legge in materia di sicurezza è presente una norma diretta a punire anche «le condotte di resistenza passiva» adottate da chi è detenuto in un carcere o trattenuto in un centro per il rimpatrio. Ma questo significa soffocare «l’unica forma di rivendicazione di diritti minimi e dignità» (Guido Camera).

Non solo: il metodo di azione nonviolenta rappresenta un passaggio essenziale nella presa di coscienza di chi, proprio affrancandosi dall’esercizio della violenza, intraprende un processo di integrazione in un sistema di relazioni sociali non criminali. D’altra parte, già oggi l’ordinamento penitenziario contempla l’uso della forza e misure eccezionali per reprimere le rivolte.

Di conseguenza, quella norma totalmente superflua, rivela “le cattive intenzioni”, un sovrappiù di accanimento nel mortificare la persona e una finalità esclusivamente simbolica. Pertanto, al di là del giudizio politico sui programmi della destra, si palesa una dismisura di improntitudine che si traduce in ostentazione di soperchieria.

Per capirci, non sostengo in alcun modo che Andrea Delmastro Delle Vedove sia malvagio (non lo conosco affatto), bensì, che dice cose malvagie e compie azioni malvagie.

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.

×