L’Autonomia delle disuguaglianze, Ciro e la Costituzione

Articolo pubblicato su La Stampa
Donatella Stasio, 22 Giu 2024

Titolo originale L'autonomia tradisce il diritto all'uguaglianza

Avremo un’Italia (forse) più prospera e un’Italia (certamente) più povera, con tutte le conseguenze sui diritti e le libertà dei cittadini, che uguali non saranno mai più.

«La Costituzione dice che siamo tutti uguali, ma non è vero». Ciro non aggiunge altro, non ha bisogno di spiegare e neppure di mettere un punto interrogativo a quella che dovrebbe essere una domanda ma domanda non è, non gli è venuta così, non ce l’ha fatta. Ciro ha bisogno di dire quel che la sua vita di ventenne napoletano gli ha insegnato e di pretendere una risposta, anche se ha sbagliato ed è finito a Nisida a espiare la sua pena. Quella domanda/non domanda, malinconica e lapidaria, quattro secondi appena, spiazza tutti, anche Ciro, che ha perduto il punto interrogativo e forse pure la speranza di una vita diversa, fuori, come la promette la Costituzione, legge suprema, progetto politico, imperativo istituzionale, sogno. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’oggettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese», stabilisce l’articolo 3 della Costituzione, giustamente considerato il manifesto politico delle madri e dei padri costituenti. Ma dov’è tutto questo nell’Italia pseudo-riformista dell’autonomia differenziata che spacca in due il Paese e del premierato forte che toglie voce alle minoranze e ai più fragili? Dov’è tutto questo in una “nazione” incapace di garantire dignità di vita e di lavoro ai tanti stranieri venuti in Italia e trattati da schiavi, come Satnam Singh, il giovane indiano sfruttato e pagato a nero nell’agro pontino, dilaniato da un macchinario e scaricato come un rifiuto, di fronte casa sua, con il braccio mozzato in una cassetta della frutta? E dov’è la Costituzione nelle patrie galere zeppe di poveri abbandonati al loro destino, perché dei sempre più poveri lo Stato non si prende cura?

«La Costituzione dice che siamo tutti uguali, ma non è vero»

Ciro

Ad ascoltare Ciro c’è anche Giuliano Amato, che di Costituzione se ne intende e mette il dito nella piaga. «La forza della nostra Costituzione sta nel clima in cui è nata, e su quel clima i costituenti hanno scommesso per poterci trattare da uguali». Dunque, ora sta a noi ricreare quel clima, anzitutto per dare attuazione alla Costituzione. Ebbene, non si può certo dire che questa legislatura sia nata all’insegna di un clima costituente e che, nei 19 mesi già trascorsi, siano state poste le premesse per «trattarci da uguali». Anzi. Persino le modifiche della Costituzione sono affrontate con il piglio di chi, avendo vinto le elezioni, pensa di potersi permettere di fare e disfare da solo, simulando aperture che di fatto non ci sono. Come se vincere le elezioni fosse il passepartout per aprire ogni porta. Un potere assoluto, insomma, che, però, non è contemplato in una democrazia costituzionale qual è ancora la nostra.

La Costituzione ci dice di eliminare gli ostacoli, e questo impone un paziente lavoro di costruzione di ponti, di disponibilità al dialogo e al confronto, e soprattutto di rispetto degli altri. Al contrario, ecco farsi strada politiche all’insegna di egoismo e cinismo, che hanno avuto il loro culmine nell’autonomia differenziata, la tomba delle speranze di Ciro e del suo Sud.

Avremo un’Italia (forse) più prospera e un’Italia (certamente) più povera, con tutte le conseguenze sui diritti e le libertà dei cittadini, che uguali non saranno mai più. Ecco allora che in un Paese già piagato dalla povertà assoluta (più di 5,6 milioni di persone, soprattutto al Sud) risuona tristemente attuale il j’accuse di un grande avvocato scomparso, Francesco Carnelutti: «Voi lasciate che i poveri divengano colpevoli e poi li abbandonate al loro destino». Così è: le patrie galere sono sempre più piene di poveri, di persone – lo ricordava a San Vittore Giacinto Siciliano, direttore del carcere milanese – che non finirebbero qui se prima fossero agganciate dai servizi territoriali e che invece sono dietro le sbarre perché «il carcere è l’ultimo e l’unico posto che non può dire “non li prendiamo”». Ed è così che il carcere è tornato a esplodere, con una media nazionale di sovraffollamento del 129%, 61.547 detenuti, 1.381 in più dall’inizio dell’anno e 5mila in più dall’inizio della legislatura, con il record di suicidi nei primi sei mesi del 2024, ben 45.

Eppure, il governo non sa che fare, ci gira intorno senza risposte efficaci, perché della pena non ha una visione costituzionale ma propagandistica. «La Costituzione prevede l’amnistia e l’indulto ed è preoccupante che dal 2006 questi due istituti siano di fatto cancellati», ricordava proprio a San Vittore Giuliano Amato. Ma per chi teorizza che la pena “certa” sia solo quella che fa marcire in galera, amnistia e indulto sono parole eversive, anche se è la Costituzione a prevederle. Guai, per un governo di destra come quello guidato da Giorgia Meloni, ad assumersi la responsabilità della vita e della morte dei poveri e degli ultimi rinchiusi in carcere, dei diritti di persone che hanno perduto la libertà ma non tutti gli altri diritti, anche se il governo si arroga il diritto di negarglieli.

«La forza della nostra Costituzione sta nel clima in cui è nata, e su quel clima i costituenti hanno scommesso per poterci trattare da uguali»

Giuliano Amato

D’altra parte, questo governo si arroga anche il diritto di negare alle donne la libertà di decidere sul proprio corpo e quindi di scegliere se abortire oppure no senza interferenze esterne; di negare ai figli delle coppie arcobaleno il diritto di avere i genitori che si sono presi cura di loro; di negare ai malati irreversibili la libertà di decidere quando mettere fine dignitosamente alla propria vita-non vita, perché devono soffrire almeno finché non dipenderanno da un supporto vitale…

Egoismo e cinismo. Che purtroppo dilagano. «È molto faticoso rendere reali le parole dei poeti, come dei padri e delle madri costituenti – ha detto il maestro Nicola Piovani in occasione del suo bel concerto Il Sangue e la Parola che intreccia le Eumenidi di Eschilo e i lavori della Costituente -. Ci sono tanti nemici, tante avversità. Tra queste, mi preme citarne una: il cinismo. Il cinismo ci fa guardare la realtà in un altro modo. Non solo il cinismo degli altri, ma quello che abita in ciascuno di noi come tentazione, che ci dà uno sguardo scuro sulla vita, che ci impedisce, appunto, di guardarla con gli occhi dei poeti, delle madri e dei padri costituenti. Vale la pena combatterlo questo cinismo – ha concluso Piovani – perché il giorno in cui quel sogno sarà realizzato, sarà un bel giorno per tutti, e sarà un giorno di grande festa». Ciro lo aspetta, e con lui i tanti Satnam e italiani che credono nelle promesse della Costituzione italiana.

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