L’Europa pagherà, con gli ucraini, il costo della guerra.
Ne è convinto Alberto Bradanini, ex console generale d’Italia a Hong Kong, ambasciatore in Iran e in Cina fino al 2015. Ma il conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe offrire, secondo il diplomatico, l’occasione di introdurre forme innovative di democrazia.
Nel caso dello scontro russo-ucraino che significa la parola vittoria?
Per Mosca significa acquisizione formale della Crimea e distacco del Donbass da Kiev, demilitarizzazione e ‘denazificazione’ dell’Ucraina. Per l’Ucraina immagino che per vittoria s’ intenda la poco probabile sconfitta dell’esercito russo.
Anche per l’Unione europea questa parola ha un significato simile: l’immobilismo propositivo per mettere fine al conflitto si spiega solo con la sottomissione all’alleato americano. Diverso il caso di Washington, che mira a una guerra prolungata, al dissanguamento russo nel pantano ucraino, incurante di ulteriori distruzioni e perdite umane.
Come intervenire in questa situazione?
Mancando un’autonoma strategia, sarebbe auspicabile che le decisioni dell’Ue riflettessero i sentimenti del popolo europeo, per conoscere i quali la tragedia ucraina fornisce un’occasione straordinaria. Si potrebbero introdurre, ad esempio, forme innovative di democrazia, interrogando sul conflitto i cittadini, tramite un referendum con quesiti chiari. I governi europei dovrebbero lavorare a un compromesso, perché è così che finiscono le guerre. Si eviterebbero altri guai per il popolo ucraino e le economie europee, oltre a una pericolosissima escalation nucleare. Attraverso la Nato, gli Usa tengono l’Europa sotto vigilanza, sterilizzandone ogni anelito verso la sovranità, semmai ve ne fossero le condizioni endogene.
Una piena sovranità europea non è raggiungibile?
Un fattore fondamentale che impedisce il recupero dell’indipendenza, come osservava un tempo Macchiavelli, è la presenza di soldati stranieri sul suolo patrio. Soldati e armamenti Usa in molti paesi europei fanno dell’Ue una costola afona dell’impero atlantico. Non è un caso che a pagare il costo di questa guerra, a parte gli ucraini, siano le nazioni europee.
Mancano le “forze di interposizione” secondo alcuni: è così?
Prima di porsi questo quesito, occorre far cessare il fuoco. Si dovrebbe investire su una diversa nozione di sicurezza, collettiva e indivisibile, abbandonando un’astratta etica dei principi a favore dell’etica della realtà, foriera di equilibrio tra grandi potenze, riduzione del danno e logica dell’accordo.
L’Onu che fine ha fatto?
Le Nazioni unite sono in grado di fare la differenza solo se le nazioni rappresentate sono unite.
Il Consiglio di Sicurezza – unico organismo Onu dotato di autorità cogente – diventa operativo quando le grandi potenze esprimono interessi e obiettivi convergenti, ossia quasi mai. Si pensi alle Risoluzioni sulla Palestina, inapplicate per via del sostegno Usa a Israele.
E la Cina che posizione occupa?
Pur non concordando sull’invasione dell’Ucraina, ritiene che la genesi del conflitto vada attribuita all’espansionismo della Nato verso Est e alle strategie Usa di destrutturazione della Russia e indebolimento di Pechino, la cui saldatura coi russi dev’ essere impedita. Per la Cina, Washington mira a una guerra ‘per procura’ anche in Estremo Oriente, combattuta fino all’ultimo taiwanese. Nel conflitto la Cina si trova in imbarazzo, condividendo forti interessi sia con Mosca che con l’Occidente. Dalla Russia importa petrolio e gas, per di più via terra, evitando così i mari controllati dalla Marina americana (il commercio russo-cinese ha sfiorato nel 2021 i 150 miliardi di dollari e crescerà ancor più con l’import di altro gas siberiano). Inoltre è comune ai due Paesi la necessità di contenere l’espansionismo statunitense. Pechino ha però interessi ancor superiori con Usa e Ue. Nel 2021, il commercio Cina-Usa è stato di 657 miliardi di dollari, con un avanzo cinese di 355 miliardi, e quello Cina-Ue di 695 miliardi di euro, con un surplus cinese di 250 miliardi di euro, oltre a enormi investimenti reciproci.
Si è parlato di un possibile intervento pacificatore del Dragone.
Una sua mediazione includerebbe lo stacco di un assegno, politico e/o economico, in vista del quale le due parti sarebbero spinte al compromesso. In linea teorica, all’Ucraina Pechino potrebbe offrire un contributo alla ricostruzione del Paese. A Mosca tuttavia Pechino avrebbe poco da offrire, se si esclude la minaccia boomerang di non acquistare gas o petrolio, di cui è essa stessa ad aver bisogno.
A detta dei governi occidentali, incluso quello italiano, occorre armare l’esercito ucraino. Per Pechino questo accresce il rischio di escalation: davanti a un’ipotetica sconfitta, Mosca procederebbe alla sistematica distruzione delle città ucraine. Una nazione nucleare che combatte per ragioni esistenziali potrebbe considerare il ricorso all’arma nucleare in caso di possibile disfatta. Ipotesi da tenere nel massimo conto.
Riprendiamo l’articolo uscito su:
il manifesto, 10 maggio 2022