Principi e popolo – L’autore, con l’immaginazione, interpreta sovrani e traccia una redenzione del Paese. Riscoprire la virtù civile del passato, per riconquistare la libertà e vincere la corruzione, “il vizio che ora regna”
“Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa”. Queste parole, tratte dal quindicesimo capitolo del Principe, sono state citate molte volte per sostenere che Machiavelli è stato uno dei grandi teorici del realismo politico, nemico dei visionari che immaginano società future.
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La verità è che ricorreva all’immaginazione sia per interpretare le intenzioni dei principi, sia per disegnare visioni di emancipazione. Su come Machiavelli usava l’immaginazione i migliori studiosi hanno scritto pagine molto belle, ormai ingiallite dal tempo, che merita rileggere. Federico Chabod osservava che “la ‘immaginazione’ del Machiavelli” consisteva nel “trasformare l’evento determinato, concreto, in un semplice spunto iniziale per salir su, in alto, con la fantasia creatrice, e scorgere in quell’evento un momento particolare, una espressione singola di qualcosa che non è particolare, bensì eterno – l’agire politico”. Mario Martelli ha invece sostenuto che “nel Machiavelli non sussiste una perennemente fresca attitudine a considerare le cose, la realtà, la vita, ricavandone regole sempre nuove e, fino al momento della loro formulazione, non prevedibili (il che avrebbe comportato, se non altro, la necessità di rivedere continuamente il sistema, conciliando il nuovo con il vecchio, o quello sostituendo a questo), ma un non modificabile organismo di formule che può aspettare, al massimo, una conferma della realtà, e che comunque, ove questa conferma manchi, non per questo può essere messo in discussione dagli avvenimenti”.
È vero che Machiavelli interpretava la realtà alla luce di modelli che traeva dalla storia, soprattutto dalla storia di Roma, e immaginava realtà future guidato dalle sue speranze. Lo aveva capito bene Francesco Guicciardini, l’indiscusso maestro di realismo politico, che considerava Niccolò uomo di raro ingegno e spirito, troppo sollecito tuttavia a generalizzare concetti e a interpretare la realtà politica sulla base di modelli tratti dalle storie antiche. (…)
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Quando vuol capire perché un principe o un popolo hanno agito in un determinato modo, o come agiranno nell’immediato futuro, Machiavelli non si affida soltanto alle sue teorie sui principi o sui popoli, ma esamina con occhio attento la particolare natura, ovvero le passioni e le convinzioni, di questo o quel principe, di questo o quel popolo. Francesco Vettori gli scriveva, il 12 luglio 1513, che “noi habbiamo a pensare, che ciascuno di questi nostri principi habbia un fine, et perché a noi è impossibile sapere il segreto loro, bisogna lo stimiamo dalle parole, dalle dimostrazioni, et qualche parte ne immaginiamo”. Il 26 agosto spiega a sua volta a Vettori che per capire se la pace durerà o vi sarà nuova guerra bisogna considerare i fini particolari dei principi e soprattutto i loro particolari caratteri: