Englander: “Democrazia da ricostruire”

07 Novembre 2020

Washington – «È un disastro», dice Nathan Englander, ancora prima di iniziare a parlare, ma poi si corregge: «Ma no, aspettiamo, il conteggio non è terminato: preferisco dire è “quasi” un disastro». Cerca come sempre la consolazione nell’ironia, ma è scioccato per la situazione di incertezza, per i sondaggi ancora una volta sbagliati, e, soprattutto, per il fatto che la parte in cui si identifica, l’universo liberal  non ha saputo né prevedere quello che stava succedendo, né dialogare con un mondo che ancora una volta gli ha voltato le spalle. «La sensazione netta è che non abbiamo imparato nulla dalle sconfitte precedenti», si sfoga lo scrittore nella sua casa di Toronto, dove si trova attualmente.

Come ha seguito la notte elettorale? 

«Insieme con mia moglie Rachel, con i bambini che rifiutavano di andare a dormire. Non possediamo una televisione, quindi ho visto tutto sul computer e sui nostri smartphone dove arrivavano messaggi inorriditi degli amici». 

Perché recentemente i sondaggi sbagliano sempre? 

«Perché esiste un mondo, vasto, che non dichiara di votare Trump. Si tratta di un mondo variegato, a volte anche critico su alcune sue scelte, come la gestione del Covid o le politiche verso gli immigrati. Ma che finisce per votarlo, preferendolo ai democratici, dipinti come socialisti o addirittura comunisti». 

Ci si aspettava una vittoria netta democratica: cosa non ha funzionato, secondo lei? 

«Continuiamo a sperare: io sarei felice anche di una vittoria risicata. Credo che sia mancato quello che avvenne con Obama: la mobilitazione dei giovani che andavano porta a porta a convincere gli indecisi. È mancata l’urgenza di dialogare con persone anche lontane da noi». 

Ancora una volta l’elitismo della sinistra? 

«Biden non ha commesso l’errore di Hillary di insultare l’elettorato di Trump, ma è stato insufficiente il suo tentativo di comprendere questo mondo e poi dialogarci”. 

Sembra che esistano due Americhe inconciliabili. 

“Mi viene in mente un’esperienza personale: ho vissuto in Israele e ho compreso come i Palestinesi e gli Israeliani rappresentassero due realtà diverse, non due opinioni opposte. Questo Paese è arrivato a una guerra civile tanto sono distanti alcune istanze culturali. Tuttavia voglio dire che sono cresciuto in un’America che credeva fermamente nella comunità: non c’erano due Americhe, e le differenze erano culturali o al limite razziali. Si aveva la netta sensazione che si lavorasse per superare queste differenze, pur tra momenti di contrasto e di dolore: quello che abbiamo visto negli ultimi anni ci dice che purtroppo si va nella direzione opposta. Ma continuo ad avere fiducia nel nostro Paese». 

Ci sono alcuni valori della parte avversa che lei condivide? 

«È una domanda alla quale mi è difficile rispondere se non da un punto di vista filosofico: credo nell’umanità e quindi rifiuto di rinunciare all’empatia nei confronti di quel mondo, anche se fa di tutto per smantellare ciò in cui credo». 

In molti mettono in discussione il sistema elettorale. 

«E’ sempre sbagliato mettere in discussione le regole quando i risultati non sono quelli sperati, e non si può non ricordare che questo sistema ha fatto vincere Obama e Clinton. A me sembra che si tratti di un sistema molto intelligente per mantenere al potere chi c’è già. Personalmente penserei ad alcuni correttivi, come garantire la registrazione automatica per il diritto del voto. Scoraggiare non è democratico, e questo è un Paese dove la popolazione si è mobilitata in maniera straordinaria: mio suocero ha fatto due giorni di macchina per andare a votare in Texas». 

Sembra che Trump non lotti per dar giustizia al risultato, ma per vincere a prescindere dal risultato. 

«Benvenuto nel mondo di Trump: cosa ti aspetti da un Presidente che ha la spudoratezza di dire in un dibattito di essere il meno razzista nella stanza? Che insulta il contendente dandogli dello stupido? Trump dialoga con un mondo che non apre gli occhi neanche di fronte a 231.000 morti per Covid, per non parlare di tutte le persone morte per aver partecipato ai suoi comizi, senza alcuna precauzione».

Ipotizziamo che sia Biden a prevalere: cosa lascerà per il futuro la presidenza Trump? 

«Uno spirito violentemente divisivo, intolleranza, crudeltà e volgarità: non posso immaginare altri quattro anni con un uomo che peraltro rappresenta una parte minoritaria del paese. Sentiamo la necessità di restaurare i fondamentali della democrazia». 

Ancora una volta l’influenza dei media è stata minima: erano schierati quasi esclusivamente per Biden. 

«In occasioni come queste mi sento all’antica: credo ancora alla funzione civile dei giornali, e probabilmente registro la fine di un’epoca. Oggi sembra molto più efficace un tweet, anche se riporta fake news. Sto studiando la storia americana e mi sono imbattuto in quello che succedeva nelle elezioni di 100 anni fa: Al Smith, anche lui cattolico, si scontrò con Hoover, che finì per prevalere. Smith fu il responsabile dell’apertura dell’Holland Tunnell a New York, e nei giorni dell’inaugurazione la campagna di Hoover fece circolare la voce che il fine reale dell’apertura era accogliere il Papa in città. in modo che potesse manovrare il Presidente cattolico: una fake news di cent’anni fa»”. 

Ritiene che il Paese esca ferito da questa vicenda, o che invece si tratti di un momento di democrazia comunque da rispettare e forse perfino da esaltare? 

«Le elezioni sono sempre un momento di democrazia e vanno esaltate. Ma negli ultimi quattro anni abbiamo assistito a un attacco all’idea di democrazia con un Presidente che esalta movimenti para nazisti come i Proud Boys e li invita a tenersi pronti per combattere. In questo momento, il concetto stesso di democrazia mi sembra debole. Ci sarà da esultare solo se avremo la certezza che si tratterà di un risultato onesto e legale».

La Repubblica, 5 novembre 2020

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