La cultura contro la dittatura

31 Lug 2020

Ci sono le persone e ci sono gli scritti: riviste, libri, carteggi. Ci sono i ricordi: cercati, riordinati, eloquenti. Ci sono i luoghi che fanno da quinta a quel che avviene, e i simboli, come la campana Martinella a Palazzo Vecchio che risalta in copertina: fu il suo suono ad annunciare la fuga dei tedeschi da Firenze, l’11 agosto 1944. Tutto questo fluisce nel memoir di Sandra Bonsanti, che si divora perché racconta un pezzo di storia del Novecento su cui tanto si è letto eppure quel tanto non è mai abbastanza. Torna bambina, dunque, l’intellettuale e militante toscana, oggi presidente emerita di Libertà e Giustizia, e ci fa incontrare subito il padre, Alessandro. Stanotte dormirai nel letto del re (il titolo rimanda a uno degli aneddoti sparsi in queste pagine) suona come un omaggio al fondatore della rivista «Letteratura» (1937) e già condirettore di «Solaria», direttore del Gabinetto Vieusseux, grande amico di Gadda e Montale, ma non solo. Ritroviamo anche Giorgio Bassani e Alberto Carocci, Luigi Dallapiccola e Carlo Levi, Natalia Ginzburg e Adriana Pincherle e molti altri che compongono l’articolato e irripetibile mosaico della cultura di quegli anni.

Presto si fa conoscenza anche con la mamma dell’autrice, Marcella Del Valle: le sue origini ebraiche costringono la famiglia alla fuga e al peregrinare di casa in casa, di zona in zona, alla ricerca di una sicurezza sapendo di non poterla mai davvero raggiungere. Sembra di vederla quando, incinta del fratello di Sandra all’ottavo mese, segue con lo sguardo muto e pieno di terrore la sua bambina presa in braccio da un soldato tedesco a Palazzo Strozzi, dove si erano rifugiati all’inizio di agosto del ’44, e portata a fare una passeggiata. Ha la forza di non reagire, Marcella, consapevole che anche un fremito o una parola avrebbero potuto scatenare la ferocia degli uomini di Kesselring ammassati nel cortile… feriti, ubriachi, sanguinanti, prossimi alla ritirata ma ancora capaci di una violenza inaudita.

Il punto fondamentale di questo libro si coglie sin dall’inizio, e l’autrice vi torna a più riprese: «Quello che ho potuto capire dello stato d’animo di mio padre e dei suoi amici è che solo la cultura poteva servire alla loro e alla prossima generazione per vincere i confini del silenzio, l’imposizione del pensiero unico, la tragedia della notte della libertà». Per questo Sandra Bonsanti cita con orgoglio gli intellettuali che si frequentavano al caffè delle Giubbe Rosse non certo per sbevazzare, ma per confrontarsi e alimentare la “resistenza” che si respirava negli scritti, nelle riviste dove si allargavano i confini agli autori stranieri e si pubblicavano testi sgraditi al regime.

Per questo, finito tutto, quando è il momento di ricostruire esistenze annichilite dalla guerra e la fame morde ancora, l’obiettivo prioritario è fondare un periodico, «il primo dell’Italia libera a varcare la linea gotica»: ci riescono nell’aprile del ’45, e come chiamarlo se non «Il Mondo?». Ancora per questo, infine, tornando ai giorni cupi del ’43, è cruciale la storia di un falò, quello che Alessandro Bonsanti fa di una grande quantità di carte, libri, lettere, subito dopo l’8 settembre. Stava per arrivare la Gestapo alla quale era stato spifferato che la padrona di casa era ebrea. La piccola Sandra, sei anni, inconsapevole del contenuto e soprattutto del motivo di quel falò, gioca divertita mentre suo padre osserva meditabondo l’esito del proprio gesto.

Seguire gli avvenimenti descritti con una lucidità che nulla sottrae alle emozioni vuol dire rivivere l’incalzare della Storia. Lo si fa con gli occhi di una bambina cresciuta in fretta, che studia con le maestre private perché le leggi razziali le negano l’accesso alla scuola. Che ascolta il nonno Giuseppe raccontarle della «vita fatta di guerre» e di quando sopravvisse ad Adua bevendo la pipì dei cammelli. Che osserva una fila di uomini chini a scavare buche per la posa delle mine, in via San Domenico, sotto la minaccia delle pistole tedesche. O che si ritrova completamente ricoperta dalle schegge di vetro di una finestra nella sede del Vieusseux, andata in frantumi per via di una bomba, e si rifugia con gli altri nel sotterraneo: il rumore degli scarponi chiodati dei nazisti, sopra la testa, le toglie il sonno.

Saltano i ponti, a Firenze. Continuano le stragi, anche quando finalmente si gioisce per la Liberazione: i 560 innocenti di Sant’ Anna di Stazzema vengono trucidati il giorno dopo, il 12 agosto. Subentrano lo smarrimento e il vuoto, la durezza del rialzarsi. Sullo sfondo di questo racconto si stagliano pagine ed episodi che rimangono impressi. La falsa carta d’identità fornita da Bassani alla padovana Marcella Del Valle che diventa la calabrese Giselda Bonatto; il rammarico dell’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli per non aver ucciso Mussolini e Hitler quando nel ’38 aveva fatto da guida a entrambi, a Roma e a Firenze. Il ritorno in patria degli esuli: «il più importante avvenne solo nell’estate del ’46, quello della famiglia Rosselli», con il commovente abbraccio tra Marcella e Amelia, la madre dei fratelli martiri. Si capisce come, alla fine, nel dedicare il memoir ai genitori, l’autrice sottolinei che le ci sono voluti 80 anni per questo lavoro: una vita di elaborazione, rimescolamenti, fatica, gratitudine per aver conosciuto «il prezzo della libertà». Un atto d’amore per Firenze, nelle parole di Montale «terraferma della cultura, delle idee, della tradizione, dell’umanesimo». Di Archinto editore, si legge d’un fiato.

Il Sole 24 ore, 26 luglio 2020

 

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