Col taglio dei parlamentari e senza il proporzionale ci sarà meno rappresentanza

28 Luglio 2020

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il “taglio alla politica” è un classico cavallo di battaglia del populismo. Nell’Italia repubblicana, questo refrain è stato cantato originariamente da liberali e monarchici (contrari ai partiti di massa) e, soprattutto, da Guglielmo Giannini, che nel libro La folla (1945) e con il movimento dell’Uomo Qualunque propose un parlamento sorteggiato con lo scopo di rendere i partiti inutili (resi necessari, invece, dalle elezioni).

L’antipolitica e l’antipartitismo si sono alimentati (insieme al declino di legittimità dei partiti che avevavo scritto la Costituzione e al successo della televisione) per approdare alla più radicale campagna contro la democrazia dei partiti: lo slogan “Roma ladrona” della Lega Nord di Bossi era la voce di un partito populista, che voleva guidare la secessione dallo Stato unitario e la sepoltura della casta. I resti di quella battaglia sono, oggi, il regionalismo differenziato e il referendum per il taglio dei parlamentati.

La linfa dell’antiestablishment ha nutrito quasi tutti i partiti, nuovi e nuovissimi. Come dimenticare la scesa in campo di Silvio Berlusconi con la sua Forza Italia come “un non-partitto”?  Generato dal sistema di corruzione contro il quale chiedeva il voto agli italiani, Berlusconi riuscì a convincere che la sua propaganda era puro liberalismo perché contro la “paritocrazia”.

All’ombra dell’antipolitica populista e videocratica sono cresciuti i più prominenti leader politici di oggi. Figli della democrazia del pubblico, ‘rottamatori’ di tutte le caste preesistenti la loro. E, fatalmente, invece di buttare a mare i politici corrotti e ridare dignità all’istituzione democratica per eccellenza, il Parlamento, la loro retorica ha attaccato e attacca la politica.

E arriviamo all’oggi, alla madre di tutte le battaglie populiste, quella per il “taglio dei parlamentari” voluta dal M5S, ben poco amica della democrazia perché produce una potatura drastica della rappresentanza nostra, con il risultato di depotenziare la nostra voce e incrementare il potere degli eletti e delle maggioranze.

Con partiti solo nelle istituzioni, un Parlamento così potato sarà di e dei notabili. Senza un sistema elettorale proporziale, farà essenzialmente da grancassa a chi governa, mentre le sue funzioni classiche, quella della rappresentanza della maggior parte delle istanze e delle idee che vivono nel Paese e quella del controllo del governo saranno ridotte. I forti nella società avranno più forza in Parlamento.

Il treno della campagna referendaria è già stato messo sui binari. La recente bocciatura della proposta del taglio dei vitalizi alla Commissione Contenziosa del Senato ha dato ossigeno al riallineamento propagandistico: “tutti i populisti uniti!”. Commentando pochi giorni fa ad Agorà il voto contro il taglio dei vitalizi, Salvini si è messo alla guida della locomotiva quando ha commentato: “Noi abbiamo votato contro, ma non siamo stati sufficienti”. E’ una chiamata a raccolta di tutti i populisti contro la rappresentanza parlamentare. Con l’esito di mettersi saldamente a capo di un establishment ancora più potente e intoccabile.

 

L’Espresso, 5 luglio 2020

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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