Noi tutti che siamo qui sappiamo che Franco ci parla ancora e la sua voce ci pare severa e dolce insieme, come lo era il suo sorriso per noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo e parlargli di tante cose che ci turbavano. Lui sapeva sfoltire la discussione e trovare il cuore del problema.
Franco oggi è con noi, in questo tempo così ostile e duro nei confronti di quei giornalisti che si ostinano a sezionarlo, a ricordarne le radici profonde, a informare oltre gli ostacoli che, in tutto il mondo, si ergono a proteggere indicibili verità.
Noi sappiamo che non possiamo prescindere dalla discussione sul rischio di un ritorno al fascismo: non possiamo perché non possiamo accettare che i nostri giovani colleghi vengano assaliti e impediti nel lavoro di documentare e raccontare. Non possiamo perché le minacce e gli avvertimenti li abbiamo spesso subiti e sempre, o quasi sempre, abbiamo saputo respingerli.
Franco si è battuto contro un potere che è il più forte: il potere politico, insieme al potere di equilibri internazionali a loro volta politici e militari. Il grande potere che oppone il grande silenzio. Ma quel potere costituiva un’ingiustizia nei confronti di semplici cittadini, donne e bambini trucidati nelle stragi nazifasciste senza che nessuno pagasse il conto.
Franco si è ribellato in tutti gli anni del suo lavoro: non ha mai accettato la verità ufficiale. Ha trovato un giornale che ha saputo sopportare i suoi tempi lunghi, la sua tenacia e sono certa che sabato mattina sarebbes stato in quel teatro in cerca della parola che raccontasse il fascismo. Lui l’avrebbe trovata. Ma noi arranchiamo e non siamo autorizzati a ipotizzare quale sarebbe stata la sua parola.
Parlo dunque per me e voglio ringraziare a mia volta Federico Marconi e Giovanni Tizian: le vostre inchieste ci hanno aperto gli occhi e riproposto questioni difficili. Voi incontrate sul vostro cammino personaggi che vengono persino dai miei anni di cronista e che credevamo una volta per tutte condannati e comunque isolati. Sentire dopo tanto tempo che Stefano Delle Chiaie e Mario Tuti ispirano i giovani di oggi dopo aver trascinatoquelli di un tempo nel gorgo del terrorismo fa una certa impressione. Come è stato possibile?
E sentire che c’è chi minaccia “di sparare in testa…”. Noi non possiamo mai dimenticare che il padre del giornalismo italiano si chiama Giovanni Amendola. Non possiamo dimenticare le aggressioni di Montecatini, in trenta contro uno. E la sera stessa della sua morte a Cannes, nell’aprile del ’26, il suo giornale, Il Mondo, a Roma era invaso e distrutto. Fino all’ultimo, ha raccontato un suo redattore, Mario Ferrara, nel ’45, spronò i giornalisti dicendo “Noi siamo nella verità e i nostri avversari sono nella menzogna e questo edificio costruito sulla menzogna deve cadere”.
Sono grata a Livia Giustolisi e a tutti i colleghi che, da anni, fanno vivere il Premio di avermi chiesto di aggiungermi e dare una mano. Lo splendido numero di Natale della rivista Time è dedicato ai “Guardiani” (The guardians), i giornalisti minacciati, a Jamal Khashoggi e alla sua fine, il 2 ottobre del 1918, nel Consolato di Istanbul.
Mi piace la parola guardiani riferito ai giornalisti. Franco è stato un grande guardiano, affinché la storia del nostro Paese potesse affrancarsi dalla vergogna della giustizia negata.