Tra i profili discutibili della decisione con cui il Presidente Sergio Mattarella ha rifiutato di nominare Paolo Savona Ministro dell’Economia vi è il seguente passaggio del discorso presidenziale: «Quella dell’adesione all’Euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro Paese e dei nostri giovani: se si vuole discuterne lo si deve fare apertamente e con un serio approfondimento. Anche perché si tratta di un tema che non è stato in primo piano durante la recente campagna elettorale».
Ora, se è indubbio che correttezza verso gli elettori vuole che le forze politiche si assumano apertamente le proprie responsabilità formulando proposte politiche trasparenti e credibili, le parole del Presidente lasciano intravedere qualcosa di ulteriore: che, nel dar vita al programma di governo, sui temi «di importanza fondamentale» i partiti siano vincolati ad attenersi a quanto discusso dinnanzi agli elettori, quantomeno in negativo (nel senso, cioè, che sarebbe loro precluso l’inserimento nel programma delle questioni non discusse).
Inevitabilmente, la mente corre alla revisione costituzionale tentata nella scorsa legislatura dal Partito democratico. Certamente, il tema non era parte del programma elettorale del Pd. E, altrettanto certamente, si trattava di argomento «di importanza fondamentale». Eppure, non risulta che al Quirinale o presso altre sedi istituzionali si sia dubitato che rientrasse tra le prerogative parlamentari discutere e deliberare sull’argomento. Dobbiamo concluderne che le più alte istituzioni della Repubblica vennero meno ai loro doveri?
Naturalmente, così non è. Il nostro è un sistema parlamentare e, come tutti i sistemi parlamentari, non può che reggersi sull’istituto del mandato libero. Nonostante il senso comune contrario, i parlamentari non rappresentano chi li ha votati: rappresentano la Nazione, nella sua interezza (art. 67 Cost.). Loro delicatissimo compito è decidere sulla base di ciò che, in coscienza, ritengono meglio corrispondere all’interesse generale, con riguardo tanto alle questioni già sul tavolo al momento della loro elezione, quanto a quelle nuove che nevitabilmente sopravvengono nel corso della legislatura.
Ciò consente, tra l’altro, di escludere che le decisioni parlamentari possano essere intese come imposizioni di parte, inflitte dalla maggioranza alle minoranze. Se è vero, infatti, che l’essenza della democrazia è la coincidenza dei governanti con i governati – secondo l’ideale dell’autogoverno, che nobilita i sudditi in cittadini –, si deve allora escludere che qualcuno possa subire imposizioni da
parte dei detentori del potere.
Compito del Parlamento, in quest’ottica, è discutere i problemi della vita collettiva alla ricerca della soluzione capace di raccogliere il più ampio consenso possibile, auspicabilmente anche al di là dei confini della maggioranza parlamentare contingente. In tal modo, le decisioni, che a un certo momento devono venire inevitabilmente prese, possono essere credibilmente presentate come frutto della ricerca di una soluzione condivisa, volta a realizzare l’interesse generale o, meglio, quello che la maggior parte dei parlamentari ritiene sia l’interesse generale. Detto altrimenti: la conta diventa a un certo punto inevitabile, ma deve basarsi non sullo scontro degli interessi di parte in gioco, bensì sul tentativo di individuare lo schema maggiormente condiviso di ricomposizione degli stessi.
Naturalmente, si tratta di una ricostruzione ideale, che mai riesce pienamente a tradursi in realtà. E, in parte, si tratta anche di una finzione, nel senso che la Nazione, di per sé, non esiste, ma necessita proprio dei rappresentanti per diventare un qualcosa di reale. È esattamente per questo che la mediazione assicurata dalla rappresentanza è così importante: perché, altrimenti, le istituzioni costituzionali si ridurrebbero a fare da specchio ai rapporti di forza esistenti nella società, rinunciando a ogni tentativo di ricomporre le istanze sociali spontanee in proposte di soluzione meditata al conflitto politico.
Per questo le parole del Presidente Mattarella appaiono così sorprendenti, al punto che persino quanto scritto a favore del vincolo di mandato nel «contratto» di governo pentaleghista – introdurre misure per «contrastate il … fenomeno del trasformismo» – risulta più moderato.
il manifesto, 2 giugno 2018