Quella che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, oltre ad essere una crisi istituzionale alla quale per trovare un precedente comparabile bisogna forse risalire al 1964, è una fase acutissima di scontro tra due destre, quella globalista e liberista, capeggiata da Berlusconi e Renzi (e ora posta sotto l’alto patrocinio di Mattarella), e quella sovranista e protezionista, capeggiata da Salvini e Di Maio.
A partire dal 1989, le ragioni della sinistra (riassumibili, secondo Bobbio, nella sottolineatura del principio di uguaglianza rispetto a quello di libertà) sono state abrogate, nel discorso pubblico, dal pensiero unico neo-liberista, secondo il quale TINA (there is no alternative). La sinistra (non solo in Italia: si pensi a Blair), o meglio la sua classe dirigente, pavida quando non corrotta, ha gradualmente accettato tutti i punti di vista dell’avversario alla cui egemonia culturale si è sottomessa, sia che si parlasse di guerra come di leggi sul lavoro o di privatizzazioni.
Ma siccome la realtà delle cose è più forte delle ideologie, è avvenuto che le classi subalterne, sempre più oppresse, vedendosi tradite dalla ex-sinistra, si siano rivolte, per le loro istanze, ad una destra alternativa e politicamente scorretta (da Trump a Orban), talvolta affiancata o surrogata da movimenti correntemente definibili come populisti (e potenzialmente forieri di sbocchi definibili tanto di destra come di sinistra), quali il nostrano M5S, o l’UKIP oltre la Manica.
Questa seconda, o nuova (ma poi quanto?) destra sta mettendo fortemente i bastoni tra le ruote della prima, ponendo in discussione i trattati di libero scambio e quel santuario del neo-liberismo che è l’UE di Maastricht. Si tratta di una destra capeggiata in genere da uomini (o donne, coma la Le Pen) decisi, spregiudicati, e alieni dal compromesso, privi dei complessi di chi si è visto cadere un muro addosso, e che sta praticando quasi ovunque una tattica di sfondamento.
Ma sempre destra rimane: e non solo sul piano ideologico e, per così dire, sovrastrutturale (tradizionalismo, xenofobia, etc.), ma anche su quello prettamente economico: la proposta della Flat Tax, appoggiata anche da Berlusconi e candidamente accettata dal M5S, è la riprova di ciò, visto che mira ad accentuare le diseguaglianze e a togliere ulteriori risorse allo stato sociale, tanto più se accompagnata dall’ennesimo condono tributario. Anche la destra sovranista, insomma, si basa, come quella liberista, sulla teoria dello “sgocciolatoio” (lasciamo che i ricchi siano sempre più ricchi, qualche beneficio ne verrà a tutti). Se poi si pensava di salvare capra (flat tax) e cavoli (reddito di cittadinanza, revisione della legge Fornero) attraverso un’esplosione del debito col proposito di un default intenzionale, per quanto controllato, è da dire che si intravedono forti elementi di avventurismo, che ricordano il peronismo argentino.
Ciò non legittima la decisione “inaudita” (nel senso letterale ed etimologico del termine) di Mattarella, ma certamente induce a non stracciarsi le vesti più di tanto per il mancato governo. Non me la sento di morire per Savona, anche se ovviamente la forzatura presidenziale è irritante. Gli opposti schemi propagandistici delle istituzioni democratiche attaccate dai nuovi fascisti, o, viceversa, della sovranità popolare minacciata dallo strapotere dei mercati, contengono ciascuno un nucleo di verità, ma sono entrambi parziali. Quello che si apre ora, però, è uno spazio immenso per la sinistra: di fronte alle tensioni istituzionali provocate dall’aver di fatto demandato alla destra estrema le ragioni delle classi oppresse, occorre riaffermare, col coraggio e la determinazione, ad esempio, di un Corbyn o di un Sanders, le ragioni dell’eguaglianza, della giustizia sociale, della pari dignità tra le persone. Nella guerra tra le due destre, la
sinistra non si deve schierare con alcuna di esse, ma deve proporre un programma che contenga i seguenti punti irrinunciabili:
1. Tolleranza zero verso l’evasione fiscale (che se si vuole si può combattere: pensiamo a come ha fatto Renzi, quando ha voluto, col canone Rai…), accompagnata dal ripudio di ogni condono.
2. Accentuazione della progressività fiscale (Irpef ed imposta di successione) e ipotesi di patrimoniale (anche sulle componenti finanziarie, e non solo immobiliari, del patrimonio), accompagnata da un alleggerimento delle imposte regressive (indirette, Irap, contributi previdenziali).
3. Aumento della spesa sociale (indennità disoccupazione/reddito di dignità, assegni familiari, asili nido, difesa del sistema sanitario) con una virata del sistema pensionistico verso un modello universalista beveridgiano, superando quello corporativo-bismarckiano.
4. Ripristino della legislazione a tutela del lavoro (Statuto dei Lavoratori in testa), con l’abrogazione delle leggi successive che hanno (a partire dal “pacchetto Treu” fino al Jobs Act) istituito la precarietà come regime ordinario del lavoro dipendente. 5 Affermazione del primato della Costituzione italiana sui trattati europei, opposizione ad ogni ulteriore irrigidimento giuridico dei principi monetaristi, senza escludere, sullo sfondo, un superamento (almeno concordato) della
moneta unica.
Su queste basi la sinistra può sperare di riprendersi gli elettori perduti. Ma per far questo occorrono leader decisi e capaci, non le vecchie dirigenze che dettero il via alla china disastrosa che, passo dopo passo, ci ha condotto a Renzi. Ce ne sono, e spero che si facciano avanti.
(*) L’autore è socio del Circolo Leg di Firenze.