Gli sconfitti del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 non si sono ancora rassegnati. Non riescono ancora a farsene una ragione poiché continuano a ripetere argomentazioni infondate e sbagliate. Grave per i politici, la ripetitività di errori è gravissima per i professori, giuristi o politologi che siano. Sul Corriere della Sera Sabino Cassese esprime il suo rimpianto per il non-superamento del bicameralismo (che, comunque, nella riforma Renzi-Boschi era soltanto parziale) poiché obbliga a una “defatigante navetta”.
Non cita nessun dato su quante leggi siano effettivamente sottoposte alla navetta, sembra non più del 10%, e non si chiede se la fatica sia davvero un prodotto istituzionale del bicameralismo paritario italiano o dell’ incapacità dei parlamentari e dei governi di fare leggi tecnicamente impeccabili, quindi meno faticose da approvare, oppure, ancora, se governi e parlamentari abbiano legittime differenze di opinioni su materie complicate, ma qualche volta non intendano altresì perseguire obiettivi politici contrastanti.
Comunque, i dati comparati continuano a dare conforto a chi dice che, nonostante tutto, la produttività del Parlamento italiano non sfigura affatto a confronto con quella dei parlamenti dei maggiori Stati europei: Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna. Nessuno, poi, credo neanche Cassese, sarebbe in grado di sostenere con certezza che le procedure previste nella riforma avrebbero accorciato i tempi di approvazione, ridotti i conflitti fra le due Camere e, meno che mai, prodotto leggi tecnicamente migliori. Più volte, non da solo, Mauro Calise ha sostenuto che solo un governo forte, identificato con quello guidato da Matteo Renzi, risolverebbe tutti questi problemi, e altri ancora.
Non ci ha mai detto con quali meccanismi istituzionali creare un governo forte, ma ha sempre affidato questo compito erculeo alla legge elettorale. Lunedì ne Il Mattino di Napoli ha ribadito la sua fiducia nelle virtù taumaturgiche del mai “provato” Italicum. Lo cito: “Avevamo miracolosamente partorito una legge maggioritaria . senza la quale in Europa nessuno è in grado di formare un governo”.
Come ho avuto più volte modo di segnalare, l’ Italicum come il Porcellum non era una legge maggioritaria, ma proporzionale con premio di maggioranza. Con il Porcellum nel 2008 più dell’ 80% dei seggi furono attribuiti con metodo proporzionale; nel 2013 si scese a poco più di 70%. L’ Italicum, non “miracolosamente partorito”, ma imposto con voto di fiducia, non avrebbe cambiato queste percentuali. Quanto alla formazione dei governi, tutti i capi dei partiti europei hanno saputo formare governi nei e con i loro Parlamenti eletti con leggi proporzionali. Tutte le democrazie parlamentari europee hanno sistemi elettorali proporzionali in vigore da un centinaio d’ anni (la Germania dal 1949). Nessuno di quei sistemi ha premi di maggioranza.
Tutte le democrazie parlamentari hanno governi di coalizione.
Elementari esercizi di fact-checking che anche un politologo alle prime armi dovrebbe saper fare, anzi avrebbe il dovere di fare, smentiscono le due affermazioni portanti di Calise. C’ è di peggio, perché Calise chiama in ballo Macron sostenendo che la sua ampia maggioranza parlamentare discende dal sistema maggioritario.
Però, il doppio turno francese in collegi uninominali non ha nulla in comune né con il Porcellum né con l’ Italicum le cui liste bloccate portano a parlamentari nominati. Inoltre, il modello francese dà vita a una democrazia semipresidenziale che non ha nulla a che vedere con i premierati forti vagheggiati, ma non messi su carta, dai renziani né, tantomeno, con il cosiddetto “sindaco d’ Italia”. Il paragone di Calise è tanto sbagliato quanto manipolatorio. Non serve né a riabilitare riforme malfatte né a delineare nessuna accettabile riforma futura.
Il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2017