Desiderio di pace in una Europa unita

20 Aprile 2017

I nati sul finire degli anni ’40 abbiamo conosciuto la prima guerra mondiale sui libri di storia. Non abbiamo vissuto la seconda guerra, ma da bambini ne abbiamo ascoltato il racconto spezzato ed a volte commosso dei nostri genitori.

Comportamenti eroici, carichi di significati patriottici quelli che emergevano dalle letture sulla prima guerra; storie un po` più reticenti quelli che i genitori provavano a raccontarci della seconda, probabilmente per il peso che ancora ne portavano e la voglia di tornare a vivere senza comunicare angoscia. Una grande confusione accompagnava i nostri studi negli anni 60’.

Le sfumature di patriottismo e le reticenze dei nostri genitori vennero meno quando emersero più chiaramente e vennero divulgate le conseguenze tragiche dei conflitti, dell’olocausto, delle dittature, dell’utilizzo delle bombe atomiche, dei rischi della guerra fredda.

Ai mutilati della generazione dei nonni si aggiungevano i mutilati del secondo conflitto, donne e uomini costretti a convivere con le conseguenze delle guerre. Mentre si ricostruivano le città distrutte dai bombardamenti e bombe inesplose continuavano a fare vittime tra i ragazzini che giocavano tra le macerie, i più grandicelli tra noi coglievano sui volti dei genitori paura ed ansia ogni qualvolta si percepivano presagi di una guerra non fredda.

Al tempo stesso cominciammo a renderci conto che tutte le famiglie italiane ed europee, direttamente o indirettamente, avevano partecipato al sacrificio umano che le due guerre avevano richiesto, a capire anche noi che la prima guerra mondiale in Europa aveva contato 16 milioni di morti e 20 milioni di feriti. Apprendevamo che la seconda, sempre limitandosi al territorio europeo, aveva prodotto circa 40 milioni di morti e 50 milioni di feriti, per considerare infine l‘inimmaginabile, disumano destino di circa 6 milioni di Ebrei sacrificati dal delirio che aveva sconvolto l’Europa.

La Marna, l’Isonzo, il Piave, le Dolomiti teatri di furiose battaglie, Guernica Londra, Berlino, Dresda, Varsavia, Stalingrado devastate dai bombardamenti, le follie di quegli anni emergevano sempre più evidenti. Per due volte gli americani e gli inglesi, anche a prescindere dalle motivazioni, erano venuti in soccorso del vecchio continente, a confondere i loro giovani morti con i nostri, e molti di noi cominciavano a considerare come fosse facile rimanere vittime di totalitarismi e quanto fosse poi difficile liberarsene, quanto fossero costate le laceranti guerre di resistenza in Italia e nel resto d’Europa.

La barbarie delle guerre per la prima volta veniva percepita da una generazione che guerre non ne aveva fatte. La fame che le generazioni dei nostri nonni e dei nostri genitori aveva conosciuto prima e durante le guerre era per gran parte di noi un fenomeno sconosciuto. Abbiamo vissuto in un’Europa sempre più libera ed integrata, prima ad ovest e poi ad est.

Per non correre il rischio di scivolare nella retorica proviamo a rileggere in modo attento alcuni numeri che la storia ha provato a contare in Europa: durante la prima guerra la Francia ha perso il 20% degli uomini in età militare e la Germania il 13% e sono stati contati tra 4 e 5 milioni di profughi. Durante la seconda, URSS, Polonia e Jugoslavia persero dal 10 a 20% della popolazione, Germania e Italia circa il 4,50, Gran Bretagna e Francia l’1%. Le stime parlano di 40 milioni di profughi.

I nati negli anni ‘70 hanno studiato le guerre mondiali solo sui libri. A loro è mancata anche l’informazione diretta che noi avevamo ricevuto da nonni e genitori.

Siamo cresciuti noi e loro, almeno nell’Europa occidentale, al riparo di costituzioni moderne che hanno posto la pace come valore fondante di una crescita comune ed integrata tra Stati e popoli diversi.

Dopo il 1989 si è realizzata una ulteriore integrazione, perseguita da un’Europa saggia e vigile. Molti dei paesi che come il nostro hanno conosciuto dittature vivono libertà acquisite a prezzi altissimi. Molti degli uomini politici alla guida dell’Europa di oggi vengono da paesi dell’est.

Forse non dovremmo considerare la pace e la libertà come valori acquisiti per sempre. Tragedie come quella che ha travolto i paesi della ex Jugoslavia ci dimostrano che non sono ammissibili distrazioni e che pace e libertà vanno coltivate.

Donne e uomini illuminati ci hanno consentito di vivere un mondo diverso: abbiamo sostituito giovani cittadini d’Europa a generazioni di giovani destinati a morire per le follie delle guerre.

Non ha dunque senso limitarsi ad una lettura in chiave economica e finanziaria dell’essere Europa e non ha parimenti senso contrastarne questa lettura poiché ci sentiamo soffocati da patti di stabilità e diseguaglianze tra popoli costituenti.

Al di là di contingenti e reali problemi che si pongono bisogna ripartire nella consapevolezza che solo insieme si può crescere e prosperare, perché altrimenti i pericoli di catastrofi si riproporranno, anche se non sappiamo ora quale sarà il tipo, il teatro e il momento. I nostri quarantenni di oggi, in gran parte, a differenza delle passate generazioni sono dunque lontanissimi dalla realtà delle guerre, non immaginano neppure cosa possa significare un lutto diffuso e generalizzato nelle famiglie e nella società e non hanno vissuto in città distrutte. Quando immaginano un mondo migliore con Brexit, Grexit, Frenxit riflettano sulle possibilità di allontanarsi da coetanei, parenti, amici e di dover poi lottare nuovamente per riconquistare valori universali quali pace, amicizia, solidarietà, libertà e giustizia.

Custodire questi valori e coltivarli oggi, rinunciando a nazionalismi e protezionismi e riconoscendo i propri errori nella costruzione comune, ci metterà al riparo da guasti poi difficilmente riparabili.

I giovani della generazione Erasmus che hanno avuto la fortuna di vivere un’Europa da intellettuali protagonisti, i giovani emigranti che hanno trovato un lavoro in un paese diverso da quello d’origine dovrebbero coltivare il sogno europeo.

L’alternativa è un vivere male, un vivere separati, con il rischio che i lutti e i disastri frutto delle follie umane si possano ripetere. Sembra uno scenario inimmaginabile, ma lo stesso si riteneva prima che l’Europa precipitasse nella follia delle due guerre.

Il non essere preparati ad una guerra, a nessun tipo di stupida e maledetta guerra, per il solo fatto di non averne mai vissute non può essere un motivo per escludere razionalmente il rischio di causarne di nuove. Il populismo montante non ha niente a che fare con un’Europa unita e sovrana e rischia di distruggerla, travolgendo anche le identità nazionali che si vorrebbero tutelare.

(*) L’autore, già magistrato, è socio del circolo LeG di Messina.

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