La campagna referendaria ci ha insegnato che i risultati perseguiti e rivendicati, a prescindere da reali confronti di merito e di metodo, sono effimeri. E lo stesso dicasi per alcune politiche portate avanti dividendo il paese, e in alcuni casi addirittura, come nel caso della riforma dell’istituto della prescrizione, arenatesi per lungo tempo .
Ci si può dunque chiedere se non sia il caso di ripensare ai percorsi da seguire per assicurare la governabilità del nostro paese.
La carta costituzionale ci ha sicuramente consentito di crescere e di provare a realizzare politiche comuni con sistemi elettorali proporzionali e maggioritari, con coalizioni senza leaders o con più leaders e con schieramenti leaders-dipendenti.
Ciascuno di noi sarà portato a privilegiare un sistema ed a considerarlo più utile per assicurare la governabilità del paese. Tutte le posizioni sono legittime, ma poiché l’essenza della democrazia risiede nel confronto e nel riconoscimento della sovranità popolare, tutte le posizioni che vogliano considerarsi costituzionalmente corrette debbono reciprocamente riconoscere la legittimità di un diverso sentire.
Quanto più la rappresentazione del proprio convincimento è accompagnata dal non ascolto delle altre rappresentazioni, o addirittura da un contrasto aggressivo che deliberatamente rifiuta il confronto, tanto più la politica rissosa creerà un solco tra classe politica e società civile.
La lotta politica come perseguimento del potere proprio e dei propri compagni di partito non ha nulla a che vedere con i principi di giustizia e libertà che l’azionismo e le altre forze costituenti hanno posto a base della nostra carta costituzionale.
Non ha senso chiedersi se sia preferibile un sistema parlamentare su base elettorale proporzionale o un sistema parlamentare su base elettorale maggioritaria se non si riconoscono le reciproche legittimazioni a costruire politiche rispettose degli interessi dei cittadini.
A maggior ragione prospettare riforme istituzionali senza reali interlocuzioni tra le forze politiche e la società civile è operazione rischiosa e il corpo elettorale ha dimostrato per rilevanti percentuali di non gradire.
Anche politiche urlate sui rapporti con l’Europa dovrebbero essere ripensate, come insegna la “Brexit” che pare non stia portando bene ad alcuno.
L’Italia e L’Europa vivono una crisi importante e difficilmente gli Stati Uniti se ne faranno carico; come in tutte le crisi bisogna guardare indietro, guardarsi dentro, fare tesoro degli errori e ripartire. Naturalmente riconoscendo i propri errori senza provare a ribaltare le responsabilità a terzi.
Corruzioni diffuse, finanziamenti illegali per i partiti e ricerca del potere segnarono la fine della prima Repubblica, il disfacimento della D.C. e un lento deterioramento del P.C.I. orfano della D.C.
Corruzioni diffuse e non più riconducibili a interessi esclusivi dei partiti hanno segnato la grave crisi della seconda Repubblica ed il logoramento del P.D. con una destra ed un M5S difficilmente decifrabili.
Dunque si può fare bene e male sia con un sistema che con l’altro e la governabilità non può ritenersi ancorabile ad un sistema predefinito se non si attuano politiche adeguate.
Ciascuno di noi e ciascuno degli schieramenti politici nel sistema proporzionale che si va delineando può legittimamente suggerire le proprie soluzioni ed avrà maggiori prospettive di vederle accolte quanto più saranno frutto di ascolto e confronto con diversi schieramenti.
Nè deve fare paura “il compromesso”. Quale espressione di scelte condivise, in tutto o in parte, e comunque di scelte ragionate ed argomentate anche muovendo da posizioni differenti, il compromesso è operazione di costruzione legislativa o amministrativa degna di rilievo. Nella scelta degli interessi da tutelare e del modo di tutelarli non è costruzione negativa. Lo diventa se la soluzione maschera il perseguimento di potere e/o un patto corruttivo di scambio economico e politico.
Le ultime vicende politiche dovrebbero suggerire di recuperare in pieno i valori fondanti di cui all’art. 49 della costituzione e soprattutto quel metodo democratico del quale ultimamente politiche “urlate ed aggressive” hanno immaginato di poter fare a meno, con risultati certamente non incoraggianti.
Le formazioni politiche vecchie e nuove, quale che sia la loro genesi, devono farsi carico di esplicitare quali siano i programmi che vogliono portare avanti e confrontarsi dunque con metodo democratico per la ricerca della soluzione.
Il lavoro inteso come prima espressione della dignità del cittadino, la scuola e le università quali centri di promozione e di crescita culturale del paese, la legalità, la trasparenza nelle condotte dei politici e degli amministratori, la lotta alle mafie, una progressività fiscale reale, l’abolizione di privilegi, un ordinamento rispettoso della divisione dei poteri che riesca ad impedire confusione di ruoli di politici e giudici, e tanti altri ancora sono tutti temi di rilievo per le politiche da perseguire.
Ma la loro enunciazione non può ritenersi essa stessa la formulazione del programma.
E’ necessario che vengano prospettati articolati specifici per i diversi temi, in modo che si possano cogliere i punti di differenza e quelli di convergenza per orientare le scelte elettorali e consentire poi di adottare soluzioni frutto di confronto.
La disoccupazione diffusa, la povertà crescente, la corruzione dilagante, le diseguaglianze non giustificabili sempre più presenti nel paese impongono ai partiti di esplicitare programmi articolati, con le specifiche indicazioni di spesa e di reperimento delle risorse.
Il desiderio di governare è legittimo ma non può giustificare programmi generici e superficiali poiché non assicurano la governabilità reale del paese e non sono spendibili nel caso di sconfitta per un’opposizione che è posizione politica ugualmente nobile e necessaria nei sistemi democratici.
E’ necessario altresì, e quale che sia il sistema elettorale, che i partiti e i movimenti presentino o selezionino candidature eticamente irreprensibili.
La ricerca del consenso infatti non può passare attraverso scorciatoie che ignorino o facciano finta di ignorare il grave vulnus che alla vita politica del paese viene inferto da rappresentanti politici ed amministratori più o meno collusi con il mondo delle corruzioni e delle mafie, o pronti a cambiare schieramenti in corso d’opera.
La prima riforma della politica e della giustizia risiede proprio nella capacità della classe politica di selezionare essa stessa rappresentanti ed amministratori eticamente spendibili e dovrebbe essere portata avanti senza attendere successivi interventi della magistratura e senza coinvolgerla anticipatamente in cooptazioni, portate avanti per accreditare percorsi di legalità affidati alla “rassicurante presenza” di magistrati nei quadri politici.
Come Parlamentari, Ministri, Sottosegretari, Presidenti Regioni e quant’altro la presenza dei magistrati in ruoli politici ed amministrativi non è di per sè salvifica o rigeneratrice; al contrario alimenta ulteriore sconcerto nella società civile per l’inevitabile confusione che si genera percependosi un’oggettiva confusione tra i poteri dello Stato, con grave vulnus per l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura.
(*) L’autore, ex magistrato, è socio del Circolo LeG di Messina.