Sul caso incredibile di “Parliamone sabato” ha scritto con argomentazioni efficaci su “il manifesto” Bia Sarasini. Ma la discussione non è finita, e sono previste, giustamente, anche iniziative simboliche.
Tuttavia, proprio per non chiudere il caso con la punizione “esemplare” della chiusura della trasmissione condotta da Paola Perego, qualche riflessione è doverosa. Troppo comodo, se no. In verità, quella incriminata è stata una particolare caduta negli inferi del sessismo misto al razzismo, vittime le donne dell’est. Una sorta di errore di grammatica –uno dei più gravi come un altro con l’apostrofo, per dire- da leggere, però, nella sintassi sbrindellata di tanta parte del day time. I palinsesti della mattina e del pomeriggio, fino ai fatidici quiz che servono da traino ai telegiornali, sono infarciti di televisione voyeuristica, di pornografia del dolore, di utilizzo “normale” delle donne secondo gli stereotipi vieti dell’universo maschile. Una donna o è un genio o un’eroina, o inesorabilmente assume le sembianze della moglie o della fidanzata subalterne o della persona libera ma dai facili costumi. Stiamo parlando delle consuete immagini che ci sono riflesse dai talk di appendice che riempiono i canali. Il discorso non riguarda solo la Rai, ovviamente. Anzi. L’intero contesto è da quel dì “berlusconizzato”: pubblico e privato hanno confuso i rispettivi ruoli, sfidandosi nella corsa al ribasso pere l’indice di ascolto. Urla, pianti a orologeria, strepiti e esibizione di anatomia femminile sono diventati dagli anni ottanta in poi una delle cifre distintive della televisione generalista, come ha messo in luce il noto libro di Lorella Zanardo e su cui si è soffermato il recente film “Femminismo” di Paola Columba. La pubblicità, poi, è spregiudicatamente sessista e rimpiangiamo la bonomia di “Carosello”, di fronte ai messaggi spesso espliciti di molti spot. Ne scrive con competenza Annamaria Arlotta ed è augurabile che l’Istituto di autodisciplina dia qualche segno di vita. Guai a confondere tutto questo con pericolose tentazioni censorie. Niente affatto. E’ doveroso, al contrario, alzare la soglia del dibattito, prendendo sul serio per cominciare le varie “Carte” sottoscritte dagli organismi sindacali e professionali, nonché gli stessi vecchi “Contratti di servizio.
Il progressivo slittamento della soglia critica avvenuto nel tempo fa riflettere e ci interpella sugli effetti tremendi della mercificazione totale del corpo e dell’immaginario, caratteristica saliente del liberismo. Quanta sottovalutazione del disastro in corso. Ora, mentre si discute del nuovo testo della Convenzione con la Rai, è indifferibile riacquisire i principi fondamentali della comunicazione, al di là della natura societaria delle aziende. Del resto, proprio nei giorni scorsi a Parigi il direttivo di Eurovisioni ha cominciato a discutere della qualità dei servizi pubblici, nell’era dei rinnovi delle charter e in vista della Direttiva Servizi Media Audiovisivi.
La Presidente Maggioni e l’Amministratore delegato Campo Dall’Orto si sono scusati. Positivo. Ma c’è un particolare inquietante da chiarire. L’Ad-direttore generale ha affermato che la “catena di controllo” ha funzionato. Mah. La reazione contro il programma di Paola Perego è scattata due giorni dopo. Viene in mente “Quinto potere” di Sidney Lumet. Insomma tra il Grande Fratello e il nulla ci sarà una via di mezzo.
Infine, la Rai organizzi uno specifico dibattito con le donne più impegnate su tali argomenti, per chiarire qualcosa ai cittadini-utenti.
il manifesto, 22 marzo 2017