Caro direttore, con il referendum alla spalle, sine ira ac studio, si può convenire che la impropria politicizzazione della contesa ha concorso a esasperarne e ad alterarne il senso. Ciononostante, in uno spirito di pacificazione nazionale, merita rimarcare il lato positivo di un confronto che, al netto di tali forzature, ha concorso a fare della nostra Costituzione un oggetto di conoscenza e di discussione. Io ho sostenuto le ragioni del No. Ma dissento dall’idea, coltivata da qualche comitato del No, di sopravvivere all’appuntamento referendario, di immaginare una propria proiezione politica. Sarebbe un errore e una contraddizione.
Proprio il No ben motivato si ispirava a una idea della Costituzione come patto di convivenza, come la Regola comune nel quadro della quale possano e debbano convivere tutte le parti e tutti gli indirizzi politici. Di qui il dissenso di metodo, prima che di merito, su una grande riforma espressione di una contingente maggioranza di governo. Intendiamoci: la massima che mi ha guidato e che ho cercato di argomentare era condensata nello slogan nonbastaunNo. Mi spiego: quale che fosse il giudizio di merito sulla riforma, quale che fosse l’esito del referendum su di essa, su politici, uomini di cultura, educatori incombe ora il compito di coltivare e promuovere la «coscienza costituzionale». Essa, notava con finezza il vecchio Giuseppe Dossetti, è concetto ancor più pregnante e impegnativo di quello più noto proposto da Jurgen Habermas di «patriottismo costituzionale». Trattasi dell’appropriazione personale e collettiva del senso / valore della Legge fondamentale (così amano definirla i tedeschi) intesa come patrimonio di principi e di regole che presiedono alla vita dentro la «casa comune» che è la Repubblica.
Dunque, dopo il tempo dei politici e dei costituzionalisti, è il tempo degli uomini di cultura e delle agenzie educative. Ha fatto bene Luciano Corradini (“Avvenire” di venerdì 16 dicembre 20 16) a ricordare che una dimenticata legge dello Stato impegna la scuola a promuovere «conoscenze e competenze» relative a cittadinanza e Costituzione. Dalle rilevazioni risulta che, trai giovani, il No ha registrato una larga maggioranza. È verosimile che le ragioni siano soprattutto attinenti al loro disagio, a una condizione di precarietà e di incertezza circa il loro futuro, assai più che al merito della riforma. Resta il fatto che, specie nei loro confronti, si richieda di svolgere un’azione di lunga lena per instillare quella coscienza costituzionale della quale si diceva. Mi sovviene l’accorato appello ai giovani che proprio Dossetti levò nel 1994: «Vorrei dire ai giovani: non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del 1948 solo perché opera di una generazione ormai trascorsa (…).
Non lasciatevi influenzare da seduttori fin troppo interessati non a cambiare la Costituzione, ma a rifiutare ogni regola (…) e non lasciatevi influenzare da un rumore confuso di fondo che accompagna l’attuale dialogo nazionale. Perché semmai è proprio nei momenti di confusione e di transizione indistinta che le Costituzioni adempiono alla loro più vera funzione: cioè quella di essere per tutti punto di riferimento e chiarimento. Cercate quindi di conoscerla, di comprenderne in profondità i principi fondanti e quindi di farvela amica e compagna di strada».
Parole da, meditare con l’intento di ricucire le lacerazioni di ieri e di porre le basi per rinsaldare il patto di convivenza che ci tiene insieme oggi e domani.
Avvenire, 28 Dicembre 2016
(*) Deputato Pd e giornalista.