L’altro ieri il professor Alessandro Pace, presidente del Comitato del No al referendum di ottobre, ha dichiarato al Fatto che, per la Rai, le ragioni di chi si oppone alla Costituzione scritta a quattro piedi dalla Boschi e da Verdini non esistono. In un mese -circa 700 ore di programmazione per ogni canale tv e radio del cosiddetto servizio pubblico- il Comitato del No ha avuto ben 2 minuti d’intervista al Tg3 e 1 minuto a “Bianco e nero” su Radio1.
Il Sì invece va in onda a reti unificate da mane a sera, con interviste (si fa per dire) ai Renzi‐Boschi‐Napolitano ed esternazioni assortite del presidente del Consiglio e dei suoi fedelissimi, che però non bastano ancora, infatti sono seguite da quelle del segretario del Pd. Qualcuno ha smentito il Pace? Qualcuno s’è vergognato e ha rimediato?
S’è per caso mossa l’Agcom, sedicente Autorità Indipendente per le Comunicazioni? Nisba, a parte una lettera del consigliere Rai Freccero al presidente della Vigilanza Fico; e un esposto dei 5Stelle al presidente dormiente dell’Agcom Cardani, il prof bocconiano scovato da Monti nella notte dei tempi che non ha mai dato sue notizie e si spera sia ancora vivo.
Ieri poi i consiglieri Freccero, Mazzuca e Diaconale, indicati dai 5Stelle e dal centrodestra, han chiesto a tutto il Cda Rai di raccomandare spazi adeguati anche per il Comitato del No: gli altri, messi lì da Pd & affini, han fatto finta di non sentire. Non sia mai che gli italiani, mentre tentano faticosamente di informarsi sui contenuti del referendum tra le care salme di Berlinguer, Iotti e Ingrao annesse dal Sì e i falsi partigiani e i fan di CasaPound affibbiati al No, si imbattano in qualche notizia vera o in qualche giurista serio che spieghi loro i pericoli della schiforma.
Formalmente, tutte le carte sono a posto: la campagna referendaria non è ancora ufficialmente partita, non c’è neppure la data del referendum: fino ad allora vigono le regole delle elezioni comunali, e pazienza se nessuno ne parla perché il premier‐segretario ha una paura fottuta di perderle e non ci mette la faccia. Infatti il padre‐padrone della Rai Antonio Campo Dall’Orto, che ha già renzizzato le direzioni di rete, attende le Comunali per fare altrettanto con i tg, cioè con l’unico che ancora non risponde direttamente a Palazzo Chigi: il Tg3 di Bianca Berlinguer, che sarà presto murata viva nei sottoscala di Saxa Rubra dopo aver osato protestare contro l’appropriazione indebita e il vilipendio del cadavere del padre Enrico da parte del Sì.
Il 25 giugno verrà presentato il palinsesto della stagione 2016‐2017: quella che, oltre al referendum, comprenderà le probabili elezioni anticipate. Già si sa che spariranno dalla programmazione gli unici due talk show politici di prima serata: Ballarò su Rai3 (che forse manterrà la testata, ma cambierà conduttore e soprattutto mission: solo società e consumi per non disturbare il manovratore) e Virus su Rai2 (raso al suolo tout court).
Sopravviverà, ma in terza serata, Porta a Porta dell’immarcescibile Vespa, comunque dimagrito e azzoppato dalle polemiche per l’intervista a Riina jr. (i figli dei boss si possono candidare, come fa Verdini a Napoli, ma non si possono intervistare).
Si dirà: ma restano Report e Presa diretta la domenica su Rai3. Ecco, appunto: intanto non sono talk, cioè non prevedono dibattiti in studio – mettiamo – tra il Sì e il No, ma raccolgono reportage “chiusi”. E poi, non potendo ancora abolirli, Campo Dall’Orto e la sottostante Bignardi hanno deciso di sterilizzarli. Come? Confinandoli al lunedì, la serata meno propizia per l’informazione televisiva, infatti già l’anno scorso l’esperimento di spostare al lunedì Gabanelli e Iacona fallì miseramente, per via di un pubblico totalmente diverso da quello domenicale. Fabio Fazio monopolizzerà il sabato e la domenica sera di Rai3 con Che tempo che fa, e pure il giovedì su Rai1 col Rischiatutto. Che, anziché con il talk politico su Rai2, si confronterà – per così dire – con un telefilm per ragazzi.
Aboliti i dibattiti tra rappresentanti del Sì e No tipici del format del talk che – brutto o bello che sia – prevede comunque un confronto fra tesi contrapposte e dunque è perfetto per chiarire le idee alla gente in una campagna referendaria.
Altrimenti magari la gente crede a Zagrebelsky e a Pace, e non alla Boschi e a Verdini.
Perciò l’informazione (si fa sempre per dire) in tv sarà appaltata in esclusiva ai telegiornali con i soliti panini o pastoni: Tizio dice Sì, Caio dice No, Sempronio dice qualcosa che non si capisce bene ma somiglia a un Nì, poi arriva il presidente del Consiglio e taglia corto: si vota Sì perché bisogna cambiare per il nostro bene, chi vota No vuole conservare le poltrone, e poche balle; se non basta lui, gli dà una mano il segretario del Pd, convinto che si vota Sì perché bisogna cambiare per il nostro bene, chi vota NO vuole conservare le poltrone, e poche balle.
La renzizzazione fa rimpiangere la lottizzazione che, è vero, tagliava fuori chiunque non fosse infeudato ai partiti, ma almeno una parodia di pluralismo la garantiva. E speriamo di non dover rimpiangere pure l’editto bulgaro, che almeno chiariva a tutti cosa pensava, voleva e faceva il padrone del vapore.
Questi sono più subdoli, dunque più pericolosi: tirano la pietra e nascondono la mano. Vanno dalla Gabanelli tutti sorridenti e le porgono un bicchierino di cianuro ben nascosto sotto la panna montata. E, se qualcuno obietta, è un gufo. Anzi, peggio, è “ossessionato”.
Ai tempi del fascismo, i locali pubblici affiggevano cartelli con scritto: “Qui non si parla di politica, qui si lavora”. È il nuovo motto della Rai.