Riforme, due passi in discesa

01 Luglio 2014

In com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali del senato l’asse democratico-forzista segna anche due gol, di quelli facili. Pas­sano due emen­da­menti dei rela­tori assai poco discu­ti­bili: cor­reg­gono errori nell’impostazione del governo. I punti cri­tici ven­gono aggi­rati, rin­viati. In attesa di gio­vedì quando Ber­lu­sconi dovrebbe dare il suo via libera defi­ni­tivo. Intanto Forza Ita­lia vota a favore, così ren­dendo inu­tile l’espulsione voluta da Renzi dei due sena­tori cri­tici, Mineo del Pd e il cen­tri­sta Mauro.

boschiAlla prima prova, regge la mag­gio­ranza «del Naza­reno», cioè quella che sulle riforme costi­tu­zio­nali vede insieme Pd e Forza Ita­lia dopo l’accordo fir­mato tra Renzi e Ber­lu­sconi nella sede del Pd ormai quasi sei mesi fa. In com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali del senato l’asse democratico-forzista segna anche due gol, di quelli facili. Pas­sano due emen­da­menti dei rela­tori assai poco discu­ti­bili: cor­reg­gono errori nell’impostazione del governo. I punti cri­tici ven­gono aggi­rati, rin­viati. In attesa di gio­vedì quando Ber­lu­sconi dovrebbe dare il suo via libera defi­ni­tivo. Intanto Forza Ita­lia vota a favore, così ren­dendo inu­tile l’espulsione voluta da Renzi dei due sena­tori cri­tici, Mineo del Pd e il cen­tri­sta Mauro. Sulla sorte di quest’ultimo pende la deci­sione finale della giunta per il rego­la­mento. Ma intanto si va avanti, se tutto andrà bene (per il governo) si pro­verà a chiu­dere in com­mis­sione per l’inizio della pros­sima set­ti­mana. Impos­si­bile invece finire entro dopo­do­mani, giorno in cui il Pd aveva pre­teso di fis­sare l’approdo della riforma in aula.

In due ore e mezza di lavoro sono stati appro­vati (quin­dici voti a undici) quat­tro emen­da­menti all’articolo uno del dise­gno di legge costi­tu­zio­nale Renzi-Boschi. Due dei rela­tori, un sub-emendamento tra­sver­sale che defi­ni­sce il nuovo senato come «rac­cordo» tra lo stato e l’Unione euro­pea e un altro dei rifor­mi­sti (ex ber­sa­niani) del Pd che inse­ri­sce tra le com­pe­tenze quella di «espri­mere un parere sulle nomine del governo». Le vota­zioni sono girate però alla larga dagli arti­coli 56, 57 e 58 della Costi­tu­zione, quelli che riguar­dano le moda­lità di ele­zione di depu­tati e sena­tori. Via libera all’emendamento Finocchiaro-Calderoli che con­serva all’assemblea il nome di «Senato della Repub­blica» (invece che «delle auto­no­mie»), men­tre viene sta­bi­lito che solo i depu­tati rap­pre­sen­tano la nazione, men­tre i sena­tori «le isti­tu­zioni ter­ri­to­riali» e comun­que solo la camera «eser­cita la fun­zione di indi­rizzo poli­tico». È la fine del bica­me­ra­li­smo paritario.

Il secondo emen­da­mento è quello che si dedica ai sena­tori di nomina pre­si­den­ziale, cor­reg­gendo l’impostazione del governo (che ne voleva 21) e pre­ve­den­done solo cin­que, scelti (come gli attuali «a vita») tra «cit­ta­dini che hanno illu­strato la Patria per altis­simi meriti nel campo sociale, scien­ti­fico, arti­stico e let­te­ra­rio». Reste­ranno in carica solo sette anni, e non potranno ecce­dere il numero di cin­que. Il che signi­fica che nel primo senato post riforma, doven­dosi con­ser­vare il posto per gli attuali che sono già cin­que più il pros­simo ex pre­si­dente della Repub­blica, non ci sarà spa­zio per nomine. Anzi, l’unico modo per evi­tare con­tra­sti con la nuova norma sarà spe­rare nella rinun­cia di uno o entrambi i sena­tori «di diritto».

Oggi si riprende con dop­pia seduta di com­mis­sione, mat­tina e pome­rig­gio, ma ancora con la neces­sità di girare attorno ai pro­blemi seri che sono la moda­lità di ele­zione dei sena­tori — dis­si­denti del Pd, Sel, Cin­que stelle attuali ed ex vogliono man­te­nere l’elezione diretta — e la com­po­si­zione della camera. Su quest’ultimo punto non è in ballo solo l’equa ripar­ti­zione del «sacri­fi­cio» tra depu­tati e sena­tori. La pro­po­sta di abbas­sare il numero dei com­po­nenti della camera a 500 risponde soprat­tutto all’esigenza di ren­dere più dif­fi­cile per un par­tito riu­scire ad eleg­gere (quasi) in soli­ta­ria il pre­si­dente della Repub­blica, dopo la terza vota­zione. L’emendamento 1.0.11 fir­mato dagli ex ber­sa­niani può far bal­lare il governo, e la ridu­zione del numero dei depu­tati met­te­rebbe in discus­sione tutto l’impianto della riforme e della col­le­gata legge elettorale.

In com­mis­sione Renzi appare adesso in con­di­zione di imporsi, resta però da vedere se i «rifor­mi­sti» demo­cra­tici vor­ranno ripro­porre i loro emen­da­menti in aula — come dice di voler fare Chiti a pro­po­sito dell’elezione diretta. In que­sto caso l’esito è tutt’altro che scon­tato. Intanto però Renzi gioi­sce per «l’ottima gior­nata», insi­ste a pren­der­sela con «i gufi» e dice di essere «molto con­vinto e otti­mi­sta». Ma aspetta Ber­lu­sconi e i primi voti importanti.

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