La ripresa dell’attività parlamentare dopo la pausa estiva pone al centro del dibattito pubblico la seconda lettura del disegno di legge di riforma della nostra Costituzione. Si tratta di uno snodo cruciale per il futuro della democrazia italiana: le scelte politiche operate nelle prossime settimane rischiano di inquinare in profondità il funzionamento delle nostre istituzioni rappresentative per decenni a venire. Eppure ampi settori dell’opinione pubblica sembrano vivere questa fase storica in una condizione di torpore, con un distacco misto a insofferenza. Hanno contribuito a quest’operazione di narcosi delle coscienze i toni e gli argomenti che hanno accompagnato l’iter della riforma: i media e il pubblico sembrano preoccuparsi soprattutto delle implicazioni contingenti delle votazioni parlamentari sulla stabilità dell’esecutivo o sul cangiante perimetro dei suoi sostenitori, mentre accuse di conservatorismo “reazionario” marchiano a fuoco chiunque cerchi di difendere la necessità di preservare equilibri istituzionali ed organismi politici di cui si postula invece la natura parassitaria e ridondante, opponendosi alla somma esigenza di verticalizzazione ed accelerazione dei processi decisionali dettata dal “tempo esecutivo” che stiamo vivendo.
Non ci riconosciamo in questa rappresentazione ingannevole, non è questa la natura della posta in palio. Per queste ragioni l’associazione Libertà e Giustizia, coerentemente coi suoi valori fondativi, intende moltiplicare il suo impegno per promuovere nel paese una riflessione pubblica sui rischi di un decadimento della qualità dei processi democratici indotto dall’eventuale approvazione della riforma. In coincidenza con l’avvio dell’iter di discussione del progetto di legge al Senato saranno dunque ospitate sul sito internet di LeG analisi critiche frutto della riflessione di autorevoli “maestri di pensiero”, studiosi, esperti. La nostra opposizione a questo disegno di legge, infatti, scaturisce da un insieme di idee e ragioni che possono e devono essere riaffermate con competenza e decisione nel discorso pubblico, per rianimare una discussione altrimenti sterile e dare coraggio ed argomenti alle forze politiche e sociali che ancora si frappongono alla sua definitiva approvazione parlamentare.
Si tratta di un contributo di pensiero distante anni luce della retorica della “costituzione più bella del mondo”. Nessuno reclama l’inviolabilità del nostro testo costituzionale, che ha limiti ben conosciuti. Respingiamo però radicalmente la prospettiva di questa accelerazione dissolutrice del fragile sistema di “pesi e contrappesi” istituzionali, oggi disegnato dalla nostra Costituzione, come risposta ineluttabile a una pretesa necessità di efficienza della “macchina legislativa”. Come ottenere più leggi in minor tempo e con un costo inferiore, per di più risparmiando al Paese inutili discussioni e faticosi compromessi, grazie a una nuova legge elettorale che definirà univocamente l’identità del leader – e del suo partito servente causa – cui saranno aggiudicati in esclusiva i corrispondenti poteri: questa parrebbe la stella polare che anima lo spirito riformatore dei nostri improvvisati padri costituenti. Verticalizzazione e personalizzazione del potere pubblico, accentramento di responsabilità sciolto da condizionamenti esterni, decisionismo esecutivo sono i pilastri del nuovo “ordine” istituzionale, nel quale contropoteri e vincoli fin qui efficaci fattori di reciproco bilanciamento – presidente della Repubblica, Corte costituzionale, magistratura, etc. – rischiano di essere via via disinnescati, imbavagliati, posti al guinzaglio dei vertici dell’esecutivo. Vengono i brividi al solo pensiero delle ricadute sulle nostre istituzioni democratiche qualora un ducetto xenofobo, ovvero a un plutocrate portatore di indicibili conflitti di interesse, intercettasse incidentalmente i consensi della soglia tutto sommato modesta di elettori sufficiente a investirlo di tale autorità.
Vi sono molte valide ragioni, tanto di natura sostanziale che di ordine procedurale, per contrapporsi con fermezza a questo progetto di riforma, ostinatamente portato avanti a colpi di maggioranze risicate. Di queste idee Libertà e Giustizia vuole farsi portatrice, discutendole in modo sereno e aperto nella convinzione di essere dalla parte giusta nella salvaguardia di valori fondamentali del nostro vivere civile. Ma è soprattutto sulla diagnosi dei mali della nostra democrazia che dissentiamo irriducibilmente con i fautori della riforma, giunta ormai alla fase finale del suo iter di approvazione.
La nostra democrazia non soffre di un deficit di efficienza decisionista, quanto piuttosto di una carenza di partecipazione e coinvolgimento popolare alle scelte politiche. Non occorrono più leggi, ma poche leggi di migliore qualità, o almeno intellegibili e univocamente interpretabili. Non occorre accelerarne la procedura di approvazione, quanto piuttosto avvicinarne i contenuti ai bisogni pubblici, o almeno – nei casi peggiori – limitare il danno che infliggono al bene comune, gravando soprattutto sulle fasce più deboli e inascoltate della popolazione. Per le stesse ragioni la riduzione del numero di senatori, o il taglio delle loro indennità, sono un ben misero specchietto per le allodole: al cuore della “questione democratica” in Italia si trovano piuttosto i meccanismi di selezione di quella stessa classe politica, da troppo tempo tarati per premiare sopra ogni altra cosa cortigianeria, sottomissione ai potenti, corruzione, affarismo, irresponsabilità.
La proposta di riforma costituzionale non risolve alcuno dei reali problemi della democrazia italiana, al contrario rischia di aggravarli seriamente: su quali libertà democratiche, su quali garanzie di giustizia potrà contare un popolo afono, posto di fronte a un potere pubblico che si andrà facendo sempre più distante, sfrontato, impermeabile a critiche e controlli?