È l’autore stesso a fornire una chiave di lettura, forse addirittura la ragion d’essere, di “Gridavano e piangevano” (Einaudi, 2014), durante la presentazione del libro organizzata a Ginevra dal locale circolo di Libertà e Giustizia.
Roberto Settembre è il giudice estensore della sentenza d’appello sui fatti accaduti presso la caserma di Bolzaneto durante i giorni terribili del G8 di Genova. Rispondendo ad una domanda del pubblico ginevrino, si trova così ad illustrare la funzione catartica del processo – di ogni processo – nei confronti delle vittime, che da “oggetti” di violenza o sopruso recuperano lo status di “soggetti” di diritto, ritrovando dapprima la disponibilità all’ascolto delle testimonianze e infine il pieno riconoscimento attraverso l’emissione della sentenza, l’assegnazione delle pene e l’indelebile scrittura della verità processuale. In questo senso sul “suo” processo – conclusosi dodici anni dopo i fatti con 7 condanne, 4 assoluzioni e ben 33 prescrizioni – Settembre non ha dubbi: è stato un fallimento della nostra giustizia.
Le 262 pagine del libro – questa è la chiave di lettura – tentano dunque l’impresa di risarcire in parte le vittime attraverso l’esposizione di una verità storica cui la verità processuale non ha saputo arrivare.
Il “risarcimento” passa attraverso l’esposizione, spesso cruda, delle testimonianze, delle descrizioni delle foto segnaletiche, delle dichiarazioni di molti dei trecento donne e uomini, giovani e meno giovani, italiani e stranieri che ebbero la sventura di passare alcune ore (fino a un giorno e mezzo) nella caserma di Bolzaneto tra il 20 e il 22 luglio 2001 e vivere così sulla propria pelle quella “gravissima sospensione dello Stato di diritto” (scrisse infine la Cassazione) che Roberto Settembre ci espone, filtrando la mole immensa di documenti cui si trovò di fronte elaborando la sentenza di secondo grado.
Il lavoro del giudice d’appello – scrive Settembre nel suo libro, citando Carlo Ginzburg – è simile per molti versi a quello di uno storico, che opera (a differenza dei giudici di primo grado e salvo rare eccezioni) solo su fonti secondarie e ad anni di distanza dai fatti.
Roberto Settembre dall’ordine giudiziario è uscito nel 2012, convertendo da allora la sua attività di “storico” al servizio della verità processuale, in quella di indagatore e divulgatore di verità storica, oltre che (per la verità da più lunga data) di scrittore di romanzi e racconti.
Da qui la sua generosa adesione all’invito del circolo ginevrino di Libertà e Giustizia – associazione per la quale è stato da poco nominato nel Consiglio di Presidenza – che mercoledì 6 maggio alle 19:00 ha così potuto offrire alla vasta comunità italiana della Svizzera Romanda un’occasione di riflessione ed esercizio della memoria, raccolta da una trentina di nostri connazionali attenti e partecipi. La bella sede del secolare “Lyceum Club”, in Promenade du Pin 3, ha offerto la cornice all’evento, con ingresso gratuito, piccolo rinfresco e possibilità di acquisto del libro.
Il moderatore Riccardo Bagnato, giornalista della Radiotelevisione della Svizzera italiana, ha proposto molteplici spunti di riflessione ispirati, purtroppo e giocoforza, anche dall’attualità. Dal fenomeno black-bloc, in particolare, e dall’inadeguatezza della risposta da parte delle forze dell’ordine dimostrata ancora, a tanti anni di distanza dal G8, in occasione degli scontri di Milano per l’inaugurazione di Expo; ma anche dalla recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, proprio per la mancata ricezione nel nostro ordinamento del reato di tortura, cui pure ci avrebbe obbligati (tra le altre) la Convenzione europea del 1987.
La parola “tortura”, impronunciabile in sede di processo (“non siamo a Norimberga” ripetevano gli avvocati degli imputati ai giudici) percorre più o meno esplicitamente tutto il libro; come chiamare altrimenti le percosse continue, le umiliazioni, le violenze fisiche e psicologiche, le compiaciute brutalità elargite a cittadini disperati alla mercé di chi doveva, in ossequio alla propria divisa, tutelarli? La tortura – ci ha ricordato Roberto Settembre – è il crimine peggiore di cui si possa macchiare uno Stato in tempo di pace.
L’introduzione alla serata, però, Riccardo Bagnato ha voluto dedicarla (non senza una certa emozione) alla memoria dei “suoi” giorni al G8 del 2001, quando, giovane cronista, scampò per una manciata di minuti all’assalto della polizia alla scuola Diaz, perché ne era appena uscito per bere una birra al bar all’angolo. Sulla scia della propria testimonianza, Bagnato incoraggia nel corso della serata quelle di chi, nel pubblico, ha vissuto Genova in quei giorni surreali. La memoria collettiva di quei fatti tragicamente epocali rivive così nei ricordi di Silvia, genovese all’epoca intenta alla scrittura della tesi in giurisprudenza e assistente legale volontaria a gruppi pacifici no-global (peraltro dissoltisi dopo l’efficace repressione di quei giorni); di Andrea, al quale tornano vive le immagini degli attacchi al corteo non-violento di cui faceva parte, ripescate dall’angolo nascosto della memoria nel quale gli anni, il ritorno alla normalità ed il naturale e – nelle sue parole – pericoloso oblio le avevano relegate; di tanti altri che, condividendo lampi di ricordi personali (di sangue sul selciato, di file impressionanti di container a ridisegnare la viabilità, del susseguirsi di notizie sulla morte di Carlo Giuliani, di occupazione militare della “zona rossa” cittadina…), hanno contribuito ad adempiere una delle missioni del libro “Gridavano e piangevano”: un risarcimento di memoria alle vittime del potere.
*Alessio Caprari è coordinatore del Circolo LeG di Ginevra