Resistenza e sterminio sono caduti e ‘accaduti’ quasi insieme quest’anno: l’anniversario che celebra la liberazione e la strage in mare dei migranti sono andati sovrapponendosi e stratificandosi nelle cronache e nella nostra memoria. Si è parlato di emigrazione vecchia e nuova, di vecchi e nuovi nazismi e fascismi, di posizioni autoritarie, di contrapposizioni impossibili, di paragoni inadeguati, con il sincretismo tipico della nostra epoca che somma pere e mele in un unica operazione, dimenticando i buoni insegnamenti ricevuti.
“Resistere” è un grido comune ai movimenti di protesta nazionali e internazionali, sulle due sponde dell’oceano, difficili da accomunare altrimenti: dai No Global a Occupy Wall Street, da Indignados alle Femen, ai No Tav. E’ comune alle politiche della sinistra, più o meno radicale, nell’arco dei Paesi mediterranei, da Syriza a Podemos. E’ comune perfino ai manifestanti di luoghi distanti come Istabul e Mosca, Il Cairo e Teheran.
Ma nessun’altra area evoluta del mondo come l’Europa riassume in sé, nelle proprie radici, nel corso della sua storia, questi due estremi tra cui oscillare, la resistenza e lo sterminio, mescolati nei secoli in parti diverse: più resistenza e più sterminio, meno resistenza e più sterminio, più resistenza e meno sterminio, meno resistenza e meno sterminio. Combinazioni percentualmente variabili a seconda del momento storico.
Il minimo comun denominatore dei due fenomeni è lo stesso: la paura. La paura ci domina e non da oggi; in senso antropologico probabilmente da sempre. Mai come adesso, tuttavia, la paura viene sperimentata, alimentata, agitata su scala nazionale, europea, mondiale. Abbiamo cominciato a traballare con l’incertezza, l’insicurezza, l’instabilità alle soglie del nuovo millennio e siamo precipitati nel gorgo della “società liquida”, senza riuscire a uscirne, anzi sprofondando sempre più a fondo.
La spinta decisiva ci è arrivata dal terrorismo, divenuto anch’esso globale in mondovisione: l’11 settembre, poi Al-Qaeda con Osama Bin Laden, oggi l’Isis delle teste mozze. In parallelo le crisi finanziarie, economiche e politiche si sono succedute nell’arco del primo decennio degli Anni Zero e oltre, fino a ora. Alcuni erano fenomeni largamente previsti.
Guerre, migrazioni, povertà, epidemie sono come i quattro distruttori dell’Apocalisse che annunciano la prossima fine del mondo: conquista militare (cavallo bianco, cavaliere con arco); violenza e stragi (cavallo rosso, cavaliere con spada); carestia (cavallo nero, cavaliere con bilancia); morte e pestilenza (cavallo verdastro). “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno”.
Di cosa abbiamo paura? Di tutto: della jihad e del clima degenerato, dell’energia cattiva e dei media fuori controllo, della tecnologia militare e del crimine organizzato, della sorveglianza e della libertà, della democrazia e della dittatura. Finché possiamo combattiamo contro le paure individuali –l’extracomunitario, il povero, il malato – e subiamo la paura collettiva – le invasioni, la crisi, le epidemie – contro cui non possiamo nulla o quasi. Resistenza e sterminio, appunto, in equilibrio precario sul piatto della bilancia, come nell’aut aut di Sant’Agostino: “O è il male ciò di cui abbiamo paura, o il male è che abbiamo paura”.
MicroMega, 27 aprile 2015