L’imperativo categorico è vendere. Rcs procede a tappe forzate verso la cessione della divisione libri agli ex concorrenti di Segrate: il prossimo cda dovrebbe essere fissato per il 2 marzo (intanto la Borsa premia entrambi, ieri, con Rcs a +4% e Mondadori a +1,5%). Tra Segrate e Crescenzago ormai la strada pare sia spianatissima: l’amministratore delegato di Rcs Jovane e – è facile immaginare – anche Fiat, azionista di maggioranza, spingono per accelerare i tempi. L’operazione, che porterà il gruppo della famiglia Berlusconi ad accaparrarsi quasi il 40% del mercato trade, piace a molti dalle parti di via Rizzoli: alle banche che vogliono recuperare un po’ del capitale profuso, al presidente di Rcs Angelo Provasoli, che nel 2009 fu consulente di parte (per Fininvest) nella causa sul Lodo Mondadori. Tutto si tiene, tutto torna: questo Paese è fatto così.
Qualcosa da eccepire potrebbero avercela Roberto Calasso e gli altri soci di minoranza di Adelphi (in tutto il 48% del marchio di cui Rcs ha il 52%): la casa editrice più sofisticata della galassia Rizzoli ha più interesse a mantenere la propria (importante) identità editoriale piuttosto che a finire nel calderone berlusconiano tra decine di sigle. Dunque Calasso & c. potrebbero, con la precedenza che si deve ai soci di minoranza, sfilarsi ed è assai probabile che andrà così. Anche Elisabetta Sgarbi, anima della Bompiani, è contraria: “Il lavoro dell’editore è costruire un catalogo e un’identità editoriale. Bompiani è cresciuta grazie agli autori: m’interrogo su cosa pensano loro”. Uno degli autori Bompiani si chiama Dario Franceschini, professione ministro delle Attività culturali: “Sono molto preoccupato delle notizie che anticipano un possibile acquisto di Rcs libri da parte di Mondadori. Non c’è settore più delicato e sensibile per la libertà di pensiero del mercato dei libri. “È legittimo chiedersi con preoccupazione come funzionerebbero le cose in un paese con un’unica azienda che controlla la metà del mercato, con l’altra metà frammentata in piccole e piccolissime case editrici”. Vendere per svendere però potrebbe non essere un’idea felicissima: i libri Rcs oggi sono valutati dal gruppo 180 milioni di euro, se dovessero essere (com’è molto probabile) ceduti a una cifra inferiore (tra i 120 e i 135 milioni di euro), la minusvalenza peserebbe su bilanci già sofferenti. E infatti in casa Rizzoli c’è qualche voce dissonante: oltre a Piergaetano Marchetti è contrario al trasloco anche un altro membro del cda, Attilio Guarnieri.
E gli scrittori? Il professor Gustavo Zagrebelsky, autore Einaudi, la prende con ironia: “Qualcuno ha avuto l’idea del partito della Nazione, qualcun altro vuol fare la casa editrice della Nazione”. Sandro Veronesi, uno dei più importanti autori di Bompiani, non la vede affatto bene: “È evidente che si tratterebbe di un’anomalia. Altrove, in Europa, una concentrazione di questo tipo non esiste. L’acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori rappresenterebbe un’unione insana”, spiega al sito illibraio.it?. Sul confronto con gli altri Paesi europei insiste anche Vito Mancuso, che da Mondadori se ne andò nel 2010, all’epoca delle norme ad aziendam pensate dal governo Berlusconi per risolvere le vertenze con il fisco della casa editrice di Berlusconi. Oggi il teologo è autore Garzanti e spiega: “Sono felice di non far parte di Mondadori e nemmeno di Rizzoli, perché non mi piacerebbe stare nella galassia dei Berlusconi. Il tema è lasciato alla coscienza di ogni scrittore. Però questo supereditore avrebbe il 40% del mercato. Sono libri, non una merce qualunque”. Così la pensa anche Gian Antonio Stella, firma del Corriere della Sera ed ex autore Mondadori, oggi migrato in Feltrinelli. “Non mi sono lasciato bene a suo tempo con Mondadori, anche se naturalmente bisogna riconoscere i grandi meriti che negli anni la casa editrice ha avuto. Ma questa acquisizione non è un bel segnale per l’editoria italiana. Giustamente si ricorda che bisogna fare i conti con una dimensione globale dei mercati. Però fare e vendere i libri non è come commerciare in saponi”. Bruno Vespa, uno dei più importanti autori di Segrate, è più positivo: “Io sono un fanatico della concorrenza, tanto che per vent’anni ho pregato Gianni Agnelli di fondare un terzo polo televisivo. Però è vero che oggi si può sopravvivere solo con le grandi aggregazioni, l’eccessiva frammentazione non va bene. Spero che le case editrici conservino la loro autonomia editoriale”.
Ed è su questo che ha più di un dubbio Vittorio Sgarbi, critico d’arte e autore Bompiani (fratello di Elisabetta). “L’operazione è sbagliata: limita la concorrenza e penalizza gli autori. Però non vedo problemi rispetto alle possibili ingerenze di Berlusconi: quando andavo a casa sua, trovavo i libri regolarmente nel cellophane. Berlusconi è il miglior editore che si possa avere perché non ha velleità culturali. Il problema è altrove. Ci sono marchi come Bompiani e Adelphi che potrebbero finire fagocitati da un grande gruppo, con il rischio di disperdere il grande lavoro culturale sul catalogo”. Il professor Emanuele Severino, filosofo, autore di libri anche per Rizzoli (e a cui Adelphi dedica una collana in catalogo) spiega: “Mi colpisce il disimpegno della Fiat che si lava le mani di un pezzo della sua proprietà in Italia. Certo si risolverebbero molti problemi: il capitalismo tira i remi in barca e trova un espediente che consente di massimizzare il profitto. Vedo una sostanziale omogeneità tra Rizzoli e Mondadori. Però credo che capiranno l’opportunità di salvaguardare un gioiello come l’Adelphi”.
(Il Fatto Quotidiano)