Il dato più rilevante di questa breve ma intensissima fase storica resta, senza ombra di dubbio, l’affermazione elettorale (soprattutto in termini percentuali) di Matteo Renzi. Il giovane leader è arrivato a questa affermazione, come non mi stanco di ripetere, senza nessuna delle tradizionali investiture “democratiche” in uso nel sistema politico italiano dal 1945 in poi. Renzi ha iniziato la sua conquista del potere arrivando con le primarie dell’8 dicembre 2013, d’un balzo solo, alla segreteria del Pd. Da lì spicca la sua rapida ascesa al governo, con mezzi (e forzature) parlamentari, anche in questo caso fondamentalmente fuori della consuetudine e ampiamente discutibili.
Tutto ciò, però, ha ricevuto subito dopo il consenso, che suona approvativo, di un numero (percentualmente) impensabile di elettori fino a qualsiasi consultazione precedente. Questo cursus e queste coincidenze andrebbero interpretati meglio di quanto finora non sia stato fatto.
Un’ipotesi possibile (del resto tutt’altro che sorprendente): Renzi “carica” di aspettative il vecchio elettorato “democratico”, fino a prospettargli la concreta possibilità di una vittoria, considerata generalmente fino a quel momento del tutto irraggiungibile (questa porzione più tradizionale dell’elettorato Pd pensa: «almeno una volta voglio vincere»); e vi aggiunge un quoziente piuttosto elevato di elettori provenienti da altre aree (centro-destra, grillini, centro democratico…).
Mettendo insieme i due fattori, si spiega perché le avanzate più consistenti si siano verificate nelle ex regioni rosse (Toscana, Emilia, Umbria). Insomma, il vecchio elettorato, invece di sciogliersi nell’astensionismo, si consolida presumibilmente intorno al 23–24%; di suo Renzi vale il resto, ossia il 17–18%, più o meno quanto valgono nei rispettivi partiti quelli che ne sono fin dalle loro origini i “padroni” (Berlusconi e Grillo), così come Renzi innegabilmente lo è diventato del suo dopo questo successo elettorale.
Dunque il conflitto politico in Italia diventa sempre di più, non solo come ho scritto altre volte, una gara talvolta molto accanita, ma non fra “avversari” bensì fra “concorrenti”, data la crescente omogeneità dei loro comportamenti e delle loro parole, ma più esattamente fra “concorrenti” che sono i veri e propri “padroni” dei partiti che si sono trovati, con modalità diverse, a guidare.
E cioè: non solo Renzi è diventato extra legem segretario del proprio partito, e poi, subito dopo, con modalità alquanto discutibili, Presidente del Consiglio: ma, vincendo con un risultato indubitabile le elezioni, ha posto le premesse (di cui già si scorgono gli svolgimenti) perché le gare interne a quella formazione politica e in quell’area di governo in cui ha scelto di correre fossero rapidamente e per sempre liquidate.
Cercare di capire perché abbia scelto di correre in questa formazione e non in una delle altre in cui, verosimilmente, considerando il suo profilo politico-culturale, avrebbe potuto tranquillamente farlo, sarebbe un altro interessante discorso, che però si potrebbe affrontare solo con una migliore conoscenza dei fattori in causa. Com’è riuscito a farlo?
La risposta a questa domanda sarebbe essenziale per impiantare il “che fare”, di cui, con un minimo di chiarezza, avremmo bisogno. Io avanzo due ipotesi, strettamente collegate fra loro.
La prima è che Renzi non smette di promettere urbi et orbi di avere in mano (oppure di essere in grado di avere, prima o poi, ma la differenza fra il “certo” e il “probabile” non è mai avvertibile nel suo eloquio sommario) gli strumenti per far fronte alla crisi economico-sociale del paese: da questo punto di vista non risparmia le rassicurazioni e, come anticipo, allunga un po’ di soldi alla povera gente.
La seconda, meno visibile ma più profonda, è che Renzi, non meno di Grillo e di Berlusconi, ma in questo momento più credibilmente degli altri due, punta sull’innegabile crisi di tenuta democratica del paese, — lo scarso funzionamento degli organismi rappresentativi, il degrado dei vecchi partiti e del vecchio ceto politico, la corruzione dilagante, ecc., — per dire: con i miei metodi, che vanno e promettono di andare sempre di più nella direzione di un radicale superamento dell’antiquato, ormai inservibile macinino democratico, si andrà avanti molto meglio. Così lui trasforma la sfiducia e talvolta la rabbia nei confronti della “democrazia”, che è un dato reale, diffuso ovunque in questo paese, in un formidabile strumento di consenso. Lui è già di per sé un politico post-democratico: basta che lo dica o anche si limiti a farlo capire, per suscitare un moto di simpatia anche da parte di quelli che sono stati educati ad un rispetto sacrale nei confronti della democrazia.
Il gioco per ora funziona benissimo, anche perché tutta la macchina dei media è schierata come un sol uomo dietro questa prospettiva (e anche questo sarebbe da interpretare meglio e da capire).
Del resto, non è la prima volta, in Italia e altrove, che un’investitura di tipo autoritario s’impone registrando un consenso plebiscitario di massa. Quando lui ipotizza e propugna, al posto di un onesto, magari mediocre, partito di centro-sinistra, che rappresenta una parte per armonizzarla con il tutto (ovvero, per armonizzarla con il tutto, restando però a rappresentare quella parte), il cosiddetto Partito della Nazione, a nessuno viene in mente che un obiettivo e una definizione di tale natura avrebbero potuto confarsi anche al Partito Nazionale Fascista o al Partito (appunto) Nazionalsocialista. Certo, non è la stessa cosa, ma ogni qualvolta si evoca la Nazione (con la maiuscola, per giunta), sarebbe d’obbligo che i precedenti vengano alla mente.
Ma veniamo alla pratica spicciola, quella che fa vedere meglio le cose come sono: l’obiettivo principale, comunque chiarissimo, consiste nell’assoggettare al nuovo meccanismo di potere quanto, politicamente e strutturalmente, gli può risultare incongruo o resistente. Per cui facile previsione: il pubblico, anzi il Pubblico, nella sua accezione più vasta, e cioè burocrazia, magistratura, scuola, università, sanità, beni culturali, sovrintendenze, ecc. ecc., e cioè quanto è stato costruito nel corso di decenni per avere una sua propria autonomia nel concerto generale degli organi dello Stato, verrà sottoposto ad un attacco senza esclusione di colpi. Non a caso, anche in questo caso, organi di stampa e media sono impegnati in una vibrante campagna di moralizzazione per cogliere e sanzionare le colpe dei “sistemati”: guadagnano troppo, lavorano poco, sono lenti, rallentano, si oppongono al “fare”, ecc. Il fatto che in molti casi, ovviamente, questo sia anche vero non toglie rilevanza la fatto che l’obiettivo della campagna non sia far funzionare meglio il sistema, ma assoggettarlo del tutto al comando del Sovrano.
Ho seguito con grande attenzione, — ma forse un po’ troppo da lontano, le vicende della lista Tsipras, la cui affermazione, pur con molti limiti, dimostra che un punto di partenza ancora esiste. Ho polemizzato con Barbara Spinelli prima del voto, perché essa, in un’intervista al manifesto (14 maggio) additava nei grillini il punto di riferimento fondamentale post votum della nuova esperienza («ci sono molte posizioni di Grillo completamente condivisibili e fra l’altro simili se non identiche alle nostre»). La posizione, profondamente erronea, è stata portata avanti fino a un momento prima che il Movimento 5 Stelle siglasse l’accordo con gli xenofobi e parafascisti di Nigel Farage. La scelta della Spinelli di andare a Bruxelles in barba alle dichiarazioni precedenti, chiude un po’ malinconicamente la questione, e ne riapre una grande come una casa. Ora, infatti, sappiamo con assoluta chiarezza che Grillo e il grillismo sono avversari nostri non meno, e forse più, di Matteo Renzi (il che non esclude, che fra i grillini ce ne siano molti per bene e con cui si può combinare qualcosa insieme). E allora?
In Italia, altra grande anomalia nazionale, — non esiste, e dopo la definitiva (ripeto: definitiva) uscita di scena in questo senso del Pd non esiste più, una decente formazione di centro-sinistra, — magari la più moderata che si possa immaginare, la meno virulenta, ben radicata formazione di estrema sinistra. Non esiste neanche, — si potrebbe dire così, — una seria, decente, responsabile formazione di sinistra. Per questo berlusconismo, grillismo e ora renzismo hanno dilagato e dilagano.
Hic Rhodus, hic salta. Ossia: se non si prova ad affrontare questo problema, meglio dedicarsi alle parole crociate. Quando la definisco, provvisoriamente, una seria, decente, ben radicata formazione di sinistra, non intendo la spontanea convergenza di una serie di formazioni spontanee, come in fondo è stata, — e per la parte migliore che ha rappresentato e rappresenta, — la lista Tsipras. Sono l’unico appena professore, certo, di sicuro non professorone, che ha avuto contatti diretti con la realtà vivente dei Comitati (gli altri, sovente, ne hanno parlato per sentito dire). Sono stato coordinatore per molti anni della “Rete dei Comitati per la difesa del territorio”. Insieme con altre preziose esperienze, ne ho ricavato questo convincimento: nessuna realtà politica nuova potrà fare a meno della linfa vitale che i Comitati sprigionano; ma nessun insieme di Comitati, — una Rete, ad esempio, — potrà mai da sè, e spontaneamente, mettere in piedi una realtà politica generale. Questo soggetto politico una volta si chiamava partito. Possiamo cambiargli nome. Ma la sostanza è quella.
Detto così, può sembrare un appello a fare ricorso non alla cabala ma alla Lampada di Aladino. Faccio una proposta. Da dove si comincia per cominciare la costruzione di una realtà politica nuova? Dall’alto, dal basso, dall’esistente o dal futuribile, dagli spezzoni residui del grande disastro o da quelli, più immaginati che reali, della rete in via di costruzione? Io comincerei dal programma. Dieci, dodici punti che spieghino perché si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove. Aspettare che la riforma renziana della politica, dello stato e dell’economia vada avanti è profondamente autolesionistico. Chi non ci sta, lo dica ed esca allo scoperto. E lavori perché le idee, se non le membra, tutte le membra, emergano finalmente dal guazzabuglio universale. Non so se la proposta abbia un senso. Ma so che è così che si fa se si vuole che ne abbia uno. In fondo, all’inizio, non si tratta che di fare una cosa semplicissima e alla portata di tutti: pensare.
matteo renzi è un prodotto televisivo come lo era e lo è silvio berlusconi
IL POTERE TV GENERA MOSTRI
La democrazia non è più osteggiata bensì fagocitata e digerita e… espulsa con i risultati che vediamo. Nella società post-capitalista non è più il denaro lo sterco del diavolo: non c’è più ricchezza da produrre e di quella che c’è la politica non si pone il problema di come vada ridistribuita ma vi sguazza dentro irresponsabilmente. Resta un quesito: qual è la metafora, “post-*” o le varianti più volgari di “sterco”?
Ne sono convinto. Ma ritengo che il tutto debba partire da una Classe Dirigente Intellettuale che smetta di solo pontificare, distinguere, suggerire, proporre, come aspettando che siano gli altri ad avvicinarsi dimostrando riverenza. Più umiltà e senso del pericolo!
Non concordo con la prima parte, che esula troppo dalle ragioni sociali che hanno portato al successo di Matteo Renzi: si ignora, o si fa finta di ignorare, la questione generazionale, l’emarginazione di troppi non solo dal lavoro, perfino dalla speranza di un lavoro. Quale sinistra ha rappresentato negli ultimi decenni gli italiani tra i venti e quarant’anni privi di agganci familiari e amicali? Interrogatevi sui vostri errori prima di parlare di postdemocrazia. Secondo, non vedo cosa ci sia di extralegem nelle primarie che hanno visto la vittoria di Renzi candidato alla segreteria. Terzo, la salita a palazzo Chigi è del tutto in linea con quelle di Monti e di Letta: tutte egualmente suscettibili di critiche. Infine, se non si capisce davvero quali sono le proposte renziane che suscitano tanto consenso nessuna nuova formazione di sinistra si potrà presentare come alternativa. Mi riferisco ovviamente al tema centrale della disoccupazione e del rilancio delle pmi, agli investimenti in cultura e ricerca, al ruolo che si vuole lasciare allo Stato, che ha fallito troppe, innumerevoli volte.
Sì, io ci sto: partiamo dal programma!
Programma che si sintetizza nell’attuazione dei principi fondamentali e della prima parte della Costituzione, cioè dei diritti e doveri dei cittadini.
Programma che è chiaramente alternativo a chi, continuando a ignorarne i principi fondamentali e la prima parte, agisce per stravolgere la seconda parte della Costituzione, cioè dell’ordinamento della Repubblica.
Caro professore già a settembre i nodi del “programma economico” di Renzi verranno al pettine (oggi siamo ancora alle chiacchiere sulle pseudo riforme istituzionali)….è li che bisognerà contarsi…..soprattutto dentro il PD…..per cui aspetto con fiducia….
Sono d’accordo: è dal programma che bisogna cominciare, avendo come riferimento la nostra bella Costituzione.
Non vorrei disilludere gli amici che scrivono con tanta passione, ma nel PD nessun sa o vuol contare – secondo il significato inteso dal signor Mancioli – ma tutti vogliono solo “contare”, al fine di piazzarsi nei posti di potere. E’ vero, comunque, che Renzi è il sintomo e non la causa della malattia. La sinistra (non Alberto Asor Rosa, a dire il vero) negli ultimi trent’anni abbondanti (vogliamo dire dalla marcia dei quadri Fiat in poi? Alla grossa….) non ha saputo e soprattutto voluto rappresentare più i meno abbienti, le classi – come si diceva una volta – che non hanno la forza di rappresentarsi senza il tramite di un partito politico forte, che si faccia portatore delle loro istanze e, perché no?, dei loro interessi. Tre decenni a braccetto con – a rotazione – confindustria, prelati, avventurieri della finanza, modernità di retroguardia e – dulcis in fundo – falsi nemici politici come Berlusconi (salvato ogniqualvolta stava per tirare le cuoia, politicamente parlando) hanno ridotto la sinistra a nulla. Quindi perché non accogliere a braccia aperte il decisionista Renzi, da parte di un popolo, peraltro, che ama affidarsi a chi sa con certezza cosa dirgli e e fargli fare?
Questa volta vorrei intervenire proponendovi una ‘ lettera al Manifesto ‘, il giornale che ha pubblicato l’ articolo di Asor Rosa, scritta da un militante genovese dei ‘ Comitati/Tsipras ‘ . Il fatto che ‘ a sinistra ‘ si cominci a capire che difendere ed attuare la Costituzione è il modo più concreto e più efficace di rappresentare le istanze delle fasce più deboli della nostra società ( unica, vera ‘ mission ‘ di una sinistra che non voglia rinnegare la sua identità ), è – se non proprio una novità – l’ aspetto più positivo del dibattito in atto in seno alla sinistra. La presenza di Landini e di don Ciotti alla manifestazione dell’ ottobre scorso ‘ La Via Maestra ‘ è, a questo proposito, emblematica di una esigenza di vero rinnovamento nel segno della Costituzione che è ormai avvertita, come urgente e indifferibile, non solo dai costituzionalisti, ma anche dai settori più sensibili e responsabili del sindacato e del mondo del volontariato. E’, in effetti, il progetto di Libertà e Giustizia che prende forma : riuscire ad unire, in nome della Costituzione nata dalla Resistenza, i migliori fermenti della società civile e le migliori forze della ( buona ) politica. E’ davvero la ‘ via maestra ‘ e per percorrerla con fiducia , con impegno e con coerenza, basta non farsi tentare da sirene populiste che per la Costituzione non hanno proprio lo stesso rispetto e la stessa considerazione che abbiamo noi.
Segue la lettera al Manifesto del sig.Fasce di Genova:
Cara Redazione de ‘ Il Manifesto ‘,
sono rimasto favorevolmente colpito dall’ ultima parte dell’ articolo,
laddove Asor Rosa ,dopo aver constatato che non esiste più un
partito della sinistra in Italia, parla della Lista Tsipras
come possibile speranza per una sua ( della sinistra) rinascita.
Scrive Asor Rosa: “Faccio una proposta. Da dove si comincia per
avviare la costruzione di una realtà politica nuova ? Dall’alto, dal
basso, dall’esistente, dal futuribile, dagli spezzoni rimasti del grande
disastro o da quelli, più immaginati che reali, della rete in via di
costruzione? Io comincerei dal programma. Dieci, dodici punti che
spieghino perchè si sta insieme, e si sta insieme qui e non altrove.”
Certo professore, la proposta ha senso. Ci sono persino i punti, i 10
già previsti dal programma/Tsipras per le elezioni europee . Da
integrare, via via, a seconda delle esigenze particolari dei singoli
Paesi ( nel nostro caso, l’ Italia ) o di particolari territori ( nel caso,
per esempio, delle prossime elezioni regionali ).
Mi permetto, infine, una integrazione che, seguendo nel ragionamento
il prof.Settis, chiamerò Manifesto : intendo riferirmi alla nostra Costituzione.
Sarebbe a mio avviso un viatico molto più fecondo se i comitati
territoriali, nonchè candidati, saggi e garanti volessero scegliere
questo Manifesto come collante ideologico di riferimento per il nuovo
Partito della Sinistra diversamente declinata Unita.
Grazie per l’attenzione che vorrete dare a questa mia.
Luigi Fasce – Comitato Tsipras Genova>