LeG Messina ha contrastato politicamente Genovese quando era all’apice del potere, spesso da sola. Lo ha fatto semplicemente dicendo alla città che il “metodo Genovese” era una forma di clientelismo estremo che rendeva impossibile la democrazia interna al PD. Lo ammise in una celebre intervista di Report anche il cognato.
Adesso che la questione da politica è diventata giudiziaria, non possiamo che sentirci garantisti e augurare al cittadino Genovese di difendersi nel modo più efficace. Il sapore dello sciacallaggio e del rancore non solo è acido ma ci distrae dal tema politico che dovrebbe invece essere centrale. Il PD nazionale, prima di essere costretto dalla coincidenza tra Europee e pressione grillina a “liberarsi” del suo esponente, non ha mai voluto sciogliere il nodo politico e culturale che Genovese rappresentava, un tema che soprattutto pochi dirigenti messinesi di questo partito hanno posto senza successo prima e dopo le primarie per le ultime politiche. Il consenso “sicuro” di Genovese è servito al PD in una città che non è mai stata realmente di centro sinistra. Per dare un senso politico alla vicenda, e quindi costruirci sopra una svolta, occorrerebbe non gridare che il PD “applica la legge anche ai suoi”, come avrebbe detto inutilmente il Presidente del Consiglio che pur fu a Messina ad appoggiare il candidato di Genovese alle ultime comunali. Occorrerebbe dire che il PD è ancora un partito da cambiare e cercare, da parte di chi si sentisse vicino ad esso, di dargli una nuova solida identità culturale e politica.