Le deroghe, anche una tantum, ai regolamenti, indeboliscono il principio che le regole sono regole, uguali per tutti, scritte per il bene comune e non per l’interesse di pochi o di uno.
Per questo è giusto il richiamo del presidente Napolitano che dopo aver ricordato a tutti che è in atto “una fase altamente impegnativa dell’attività parlamentare” sia per i provvedimenti di importanza economica che per le riforme istituzionali “pienamente conformi agli indirizzi della prima parte della Costituzione e miranti a superare disfunzioni da lungo tempo analizzate dell’ordinamento della Repubblica”, raccomanda che la dialettica delle posizioni politiche “si svolga nelle aule parlamentari in un clima di civile confronto e di scrupoloso rispetto dei regolamenti e delle funzioni di chi è chiamato a garantirne l’applicazione”.
Ha ragione, il presidente. Ma quando si comincia con lo stabilire che la Costituzione deve esser riscritta senza badare all’articolo 138, la somma regola della Repubblica, è difficile poi mantenere ferma la barra. Se si può fare senza il regolamento che regola la Costituzione, perché non derogare anche a quelli che regolano Camera e Senato?
Quali sono le regole che bisogna osservare se quella là, il 138, si può violare?
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