E ora che succede? Non sembra che finora ci siano al riguardo idee chiare. Circolano proposte varie e molta confusione. In uno scenario che si fa drammatico. Con la crisi economica che incalza, le borse che crollano, il Mib che perde punti. Con un sistema politico in decomposizione, sovrastato da paradossi crudeli e irrisolvibili: tre grandi minoranze impossibilitate a generare qualsiasi maggioranza; una coalizione che vince nei numeri e nelle percentuali, ma perde politicamente. Paventare il rischio dissoluzione può apparire, al momento, una forzatura. Ma fino a quando? La frattura è oggi geografica e insieme politica: tre regioni del Nord (Lombardia, Veneto e Piemonte) ora in mano alla Lega, un partito che ha il 4 per cento dei voti e, tuttavia, punta a slegarle dal resto dell’Italia.
Ci vorrebbero scelte rapide e convincenti, un governo nel pieno delle sue funzioni. Ma si naviga a vista, come si diceva nei giorni della prima Repubblica. Si comincia procedendo per esclusioni. Era balenato, sotto i colpi della tempesta elettorale, il rimedio del ritorno alle urne, pressoché immediato. Ma è un rimedio, po’ per tutti, politicamente rischioso, e anche tecnicamente impraticabile. Abbiamo, infatti, un presidente della Repubblica vicino alla scadenza del suo mandato, che durante l’ultime semestre, il cosiddetto “semestre bianco”, non può sciogliere le Camere. Si sta procedendo, dunque, come vogliono la logica e il buon senso. Tocca a Bersani la prima mossa come capo della coalizione che ha spuntato alla Camera uno 0,4 per cento in più e, in virtù dell’orrendo Porcellum, si è assicurato l’abnorme premio di maggioranza. Bersani prende l’iniziativa e apre con circospezione a Grillo. Ecco un pacchetto di proposte sul quale si potrebbe costruire una maggioranza anche al Senato: la nuova legge elettorale, la riduzione dei costi della politica, il dimezzamento dei parlamentari, le norme anticorruzione, il conflitto d’interessi. In più, c’è, a mezza bocca, anche l’idea di una presidenza, quella della Camera, per il Movimento 5Stelle.
Il passaggio però è stretto e impervio, come conferma la sferzante replica di Grillo. Sarebbe un governo di minoranza, sul modello Sicilia, che ha dato qualche buon risultato. Ma c’è una differenza sostanziale: al Governatore della Sicilia non serve un voto di fiducia perché è eletto direttamente; per Bersani, o chi per lui, questo voto è una condizione indispensabile. Il regolamento del Senato complica ancor più le cose: non basta la semplice astensione, computata come voto contrario, ma è necessaria l’uscita dall’aula. Ce li vedete i senatori grillini che lasciano l’emiciclo mentre comincia la “chiama”? Tutto ciò a prescindere dalla sostanza politica dei problemi. Anzitutto, la questione di un governo affidato ad accordi saltuari, da contrattare in Parlamento, senza un’intesa che assicuri un quadro di stabilità. E, però, le altre ipotesi in campo sono ancora più fosche. Un governo di larghe intese, che è il risultato al quale Berlusconi punta, dopo essersi assicurata col voto del 25 febbraio la sopravvivenza politica? C’è da augurarsi che il netto rifiuto del Pd tenga sino in fondo. Allora, un governo, per così dire, simil-tecnico, sull’esempio di Monti? Ma non ha il responso delle urne cancellato proprio la stagione dei tecnici?
Si è costretti a puntare sul male minore. Sapendo che in ogni caso sarà una soluzione temporanea, che questa legislatura avrà vita breve e presto si dovrà tornare a votare. Certo, le difficoltà sono pesanti, a tratti appaiono insormontabili. Per tutti, escluso Grillo. Ma è lecito pretendere, in una situazione così drammatica, che mette a rischio la tenuta del Paese, un soprassalto, uno scatto d’orgoglio. Il sempre atteso “salto di qualità”. E’ una richiesta che giriamo al Pd. Perché non giochi ancora una volta sulla difensiva. Secondo un’impostazione di base, che l’ha lasciato fermo entro un recinto elettorale sempre più ridotto, incapace di intercettare un solo voto oltre i confini tradizionali. E, al contrario, accetti la sfida. Metta in campo proposte chiare, speranze, fiducia. Una piattaforma politica, sociale, ma anche identitaria, della sinistra riformista. A quel punto, il Paese giudicherà.