L’avvio della campagna elettorale? Molte facce, poche idee. E un tema completamente oscurato nel dibattito: la riforma delle istituzioni. Eppure è da lì che occorre ripartire, se vogliamo uno Stato più efficiente e più autorevole. Anzi: se intendiamo restaurare il senso stesso della legalità. Perché non puoi prendere sul serio alcuna legge, se chi governa si mette regolarmente sotto i tacchi la legge più alta. E perché è esattamente questo il destino confezionato dai partiti per la Carta del 1947: non essendo capaci d’aggiornarla, hanno finito per disapplicarla in via di fatto, contrapponendole il fantasma della Costituzione «materiale». Sicché abbiamo in circolo due Costituzioni, ma in realtà nessuna.
Di tanto in tanto, fra un talk-show e una conferenza stampa, salta fuori qualche cenno alla riforma costituzionale. Però si tratta di frasi generiche o allusive, parole che svolazzano nell’aria, come bolle di sapone. Taluno (Grillo) minaccia di demolire l’impianto stesso della Costituzione. Talaltro (Ingroia) vuole conservarne anche le virgole. Altri ancora (Monti, Bersani, Casini) si spingono a promettere una legislatura costituente. Formula infelice: la usò già De Mita durante gli anni Ottanta, senza cavarci poi un ragno dal buco. E oltretutto sbagliata in radice, perché non c’è bisogno di riscrivere daccapo la nostra Carta. C’è bisogno casomai di liberarne l’energia repressa, restituendo quote di sovranità al popolo italiano, come afferma l’art. 1. C’è bisogno d’adeguarne gli strumenti per realizzarne i fini, per sanare la frattura tra lo Stato e i cittadini. C’è bisogno, in breve, di una legislatura costituzionale, anziché costituente.
In che modo i programmi dei partiti si fanno carico di tale esigenza? L’agenda Monti vi dedica due paragrafetti, permeata com’è da una cultura economicistica che tratta le istituzioni come orpelli. Al loro interno, vi si legge la proposta di correggere il federalismo e il bicameralismo, ma senza dire come. Infine c’è l’idea di ridurre i parlamentari e abolire le Province: il trionfo dell’ovvio. Quanto a Berlusconi, lui vuole un iperfederalismo, anche perché ha appena siglato l’accordo con la Lega. E vuole potenziare i poteri normativi del governo, come se il diluvio di decreti legge e voti di fiducia non fosse sufficiente. Bersani parla solo della legge elettorale: doppio turno alla francese. Su tutto il resto, il sito del Partito democratico rimanda a un documento del 2010, e chissà se vale ancora.
C’è allora una richiesta (per carità, sommessa) da girare ai protagonisti della campagna elettorale. Diteci se e come intendete rafforzare quei pochi strumenti di decisione in mano ai cittadini, a partire dal referendum. Spiegateci quale federalismo avete in mente, e se per esempio sposereste un sistema premiale, che assegni nuove competenze alle Regioni più virtuose. Raccontateci il vostro modello di bicameralismo (o anche una Camera soltanto, perché no? Funziona così nel Nordeuropa, e s’ottengono governi stabili e parlamentari più influenti). Dite la vostra sulla giustizia, sul presidenzialismo, sulla legge elettorale. Anzi no, su quest’ultimo argomento sappiamo già tutto. Difatti mentre intessono discorsi sui massimi sistemi, i nostri leader sono indaffarati a nominare un deputato di qua, un senatore di là. Quant’è comodo il Porcellum, anche se non si può dire.
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