Com’era grande e ricca quella Firenze piccola e povera che sta nel cuore di chi a Firenze è cresciuto e ha vissuto in momenti diversi della propria vita. E com’è «ignorante» il piccolo dittatore in maglione che si permette di offenderci tutti, dall’alto delle sue ricchezze e da abissi di arroganza culturale e sociale.
Con questa premessa e nello spirito di stringerci tutti attorno alla nostra città, vorrei riflettere proprio sul significato e sulle ragioni di quel destino che faceva di Firenze una città «grande» quando era «piccola» e «ricca» quando era davvero povera. Grande, quando uscì dalla guerra a testa alta perché si era liberata quasi da sola e per il sacrificio di tanti fiorentini torturati e uccisi dai nazifascisti. Grande perché si rimboccò le maniche e sapemmo dividerci il pane e l’acqua nei giorni della miseria. Grande perché ricordo il sindaco La Pira quando requisì per darle agli sfollati le ville vuote nel Comune di Fiesole e disse a chi provava a protestare: Dio è grande e senza confini. Grande perché la sua cultura e la sua Chiesa riuniva laici e cattolici in un immenso sforzo di pensiero, fantasia, umanità. Erano amici, o comunque si rispettavano, grandi poeti, scrittori e artisti che nella piccola Firenze lavoravano e pensavano. E prendevano un solo caffè al giorno, nei grandi caffè di Piazza della Repubblica, perché due non se li potevano permettere.
Grande era Firenze per la sua Chiesa, le sue piccole parrocchie dove tutti trovavano ristoro e pace. Grande perché Padre Balducci ci insegnava a curare gli altri (nel corpo oltre che nelle anime) e in comune trovavamo l’ascolto e il sostegno necessari.
Grande perché avevamo, accanto ai grandissimi artigiani conosciuti in tutto il mondo, una cultura attenta a trasmettere oltre che a innovare: la bellezza e il pensiero, piccole e grandi mostre, librerie e biblioteche nel cuore della città.
Grande perché seppe risorgere un’altra volta dalla furia dell’alluvione e grandissima perché allora in tutto il mondo capirono quanto era importante la piccola città di Firenze: non solo per la sua storia antica, ma per quella dote di saper guardare al futuro. Grande per i giuristi e la magistratura che non si rassegna alla mafia impunita.
Oggi, l’offesa di Marchionne può costringerci a ripensare a cosa sia diventata Firenze nel tempo del turismo globale.
Siamo all’altezza della sfida? O siamo sul punto di «svendere» l’anima stessa della città?
Il suo cuore, l’Oltrarno, è davvero destinato a diventare il ricettacolo di quel commercio di oggettini orrendi costruiti nei bassifondi della disperazione?
Deve questa città accettare l’abbandono dei residenti vecchi e nuovi perché, come si dice, è oggi «invivibile»?
Il presente, con i suoi mille problemi irrisolti, deve farci essere una «grande città» o una città piccola piccola, fatta di vetrine e di marche uguali in tutto il mondo e di interessi privati spesso oscuri e illegali?
Il futuro è una sfida che ci deve coinvolgere tutti. Ma è più facile, è più dignitoso affrontarlo se sappiamo da dove veniamo: la nostra cultura, la nostra storia di diritti civili, di eroismi e di uguaglianza. Il nostro destino di grande e ricca piccola città.
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