Piove, ma facciamo lo stesso volantinaggio per l’approvazione della legge anti-corruzione, lanciando frasi col megafono al riparo della pensilina di una banca. Si fermano in tanti a firmare e commentare l'”Appello civile” destinato al Senato, per sbloccare la legge. Ma soprattutto a manifestare la propria indignazione.
“Io sono ingegnere edile – fa una giovane – e quando mi sono iscritta questa laurea era sinonimo di una buona occupazione. Oggi invece sono precaria e lo stipendio arriva a singhiozzo quando l’azienda riceve i soldi dai committenti pubblici. Siamo in mano agli stessi corrotti che trovano i milioni per ville e ostriche, ma non per pagare i fornitori. Dove devo firmare?”
“Ma allora qualcuno che protesta c’è! – si sfoga una signora da sotto l’ombrello piazzandosi davanti al mio altoparlante – Ci hanno educato alla sopportazione e all’opportunismo: è questa la nostra tara culturale. Così si pensa che sia meglio rassegnarsi alle cose che non vanno, magari guadagnandoci pure, piuttosto che cambiarle. La colpa è nostra. I partiti si adeguano al nostro opportunismo, selezionando chi sa gestire meglio gli opportunisti”.
Buongiorno, in piazza contro la corruzione è una valida iniziativa, considerando il livello vergognoso di corruzione e di sottrazione di denaro pubblico per interessi privati a cui stiamo assistendo, vedi i più recenti scandali che hanno portato a esprimersi contro la corruzione anche il Presidente della Repubblica.
In questa occasione segnalo inoltre una iniziativa che io condivido, per quanto non abbia la possibilità di partecipare, ovvero il sit-in organizzato da Salvatore Borsellino e dal Movimento delle Agende Rosse a Palermo il 29 ottobre, in occasione dell’inizio del processo sulla Trattativa, per esprimere solidarietà e stima ai magistrati della Procura della Repubblica di Palermo che hanno condotto questa impegnativa e complessa indagine. Lo stesso giorno un sit-in di solidarietà e stima verrà organizzato a Roma.
La lotta alla corruzione è il minimo che un paese che vuol essere civile può e deve affrontare. La corruzione legalizzata, intesa anche come sperpero di risorse pubbliche a proprio vantaggio, è quella che spaventa ancor di più perché le regole le dettano gli stessi interessati. Questa ormai dilaga e va oltre il parlamento, coinvolgendo ogni apparato di potere che ruota sulla PA: amministrazioni locali (regioni, province, comuni) società partecipate pubbliche, agenzie, comitati: tutto è buono per aggredire risorse pubbliche.
E’ fuori da ogni immaginazione il fiume di denaro assorbito.
Ci si meraviglia degli interventi della magistratura se cerca di scandagliare se siano state rispettate le regole.
E per il resto?
Occorre andare oltre e riformare i principi etici su cui tali regole sono formate.
Riporto la posizione da me assunta dinanzi alle massime autorità.
Il cittadino, il suddito e il Presidente
I giornalisti, pare senza alcuna eccezione, sono intervenuti in difesa del direttore del Giornale Sallusti, condannato in appello a 14 mesi di reclusione per non aver controllato un articolo diffamatorio di un suo collaboratore pubblicato sul giornale Libero nel 2007.
Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 22.09) non muoveva critiche specifiche alla sentenza e non dimostrava di essere intervenuto in difesa di una modesta percentuale dei milioni di cittadini che hanno subito una sentenza ingiusta e, tuttavia, sosteneva che “difendere Sallusti… non è, da parte di un giornalista, una difesa corporativa…Il carcere …sembra una vendetta, più che un atto di giustizia”. Mentre il direttore Vittorio Feltri (Il Giornale, 24.09) rivolgeva un appello al Governo per l’approvazione di un decreto legge per la conversione in sanzioni pecuniarie delle pene detentive inflitte per reati commessi a mezzo stampa.
Anche il Presidente della Repubblica dimostrava interesse alla vicenda.
Ma il Potere (compreso quello della stampa), che, quando è colpito un potente, interviene perché non sia applicata una legge dello Stato(!), si è mai occupato delle ingiustizie che colpiscono il cittadino comune?
Al cittadino che osava rappresentare alla stampa, al Governo e al Presidente della Repubblica gli abusi della pubblica amministrazione, l’inerzia dei ministeri e la violazione dell’articolo 101, comma 2, della Costituzione rispondeva soltanto la Presidenza della Repubblica, di cui si riportano le seguenti note:
a) nota 11.06.2002 del Direttore dell’Ufficio per gli Affari Giuridici e le Relazioni Costituzionali:
“… Le faccio presente che il Capo dello Stato, per motivi di attribuzioni istituzionali, non è competente nel merito di quanto esposto. Posso comunque darLe assicurazione che questo Ufficio ha portato la questione rappresentata all’attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per l’esame e le valutazioni di competenza.”
b) nota Prot. SGPR 15/02/2007 0019306 P):
“…Il Presidente della Repubblica, infatti, per la sua posizione costituzionale, non ha facoltà d’intervento su materie attinenti alla sfera di attribuzioni di altri organi dello Stato.”
c) nota 14.05.2007 del Direttore dell’Ufficio per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia:
“Al riguardo, debbo farLe presente che il Capo dello Stato non interferisce con la funzione giurisdizionale, il cui autonomo ed indipendente esercizio è costituzionalmente riservato alla magistratura. Non risulta pertanto possibile compiere in questa sede una valutazione dei fatti da Lei evidenziati, né in alcun modo intervenire sui procedimenti giudiziari in corso, ovvero sui provvedimenti che li definiscono.”
Queste vicende dimostrano l’infondatezza dell’affermazione del Presidente Giorgio Napolitano “Lo Stato siamo tutti noi”, la solidità del principio della incertezza del diritto e l’esistenza di una ingiustizia bifronte: in favore dei potenti e dei prepotenti e in danno dei deboli e dei miti.
Per una più diffusa trattazione del problema si rinvia al saggio La Repubblica del privilegio e del malaffare di Antonio Palese.
25 settembre 2012
Corruptissima republica plurimae leges.