“Un tempo, quando scoppiava uno scandalo in un partito, gli altri quasi si rallegravano. Oggi non è più così. Ora ogni scandalo, per l’opinione pubblica, riguarda l’intero sistema politico. Tutti uguali! Ciò che succede in un partito, è imputato a tutti i partiti. Una specie di responsabilità oggettiva di sistema. Nessuno è immune dal discredito”. Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, accetta di rispondere a qualche domanda sul finanziamento pubblico alle forze politiche. Lo fa a quasi due mesi da ‘Dipende da noi’ 1, il manifesto-appello di Libertà e giustizia che lanciava un allarme in nome della politica e della democrazia. E lo fa partendo dall’antipolitica.
Gli ultimi sondaggi danno in grande ascesa il movimento di Grillo. E dicono che è probabile un fortissimo astensionismo. Come interpreta questi dati?
“Sono molto preoccupato. Sono due sintomi di declino, di distacco, in cui, alla ragionata indignazione, possono sommarsi pulsioni e sentimenti sociali elementari e distruttivi: disprezzo, invidia, semplificazione, dileggio; il terreno ideale per la demagogia. Sa com’è nata l’idea del manifesto che lei ha ricordato? Ero stato a tenere delle lezioni in quattro licei e a tutti i ragazzi avevo rivolto la stessa domanda: dopo la maturità, quanti di voi sono disposti a dedicare un po’ delle proprie energie a qualcosa che abbia a che fare con la politica? In ogni scuola avevo davanti 150-200 studenti e in tutto solo due, due eroi, hanno alzato la mano. Le cause? Sempre due: la corruzione e la mancanza di punti di riferimento ideale. Non si dovrebbe generalizzare; sempre bisognerebbe distinguere. Ma un errore, quando è diffuso fino a diventare senso comune, non è solo un errore: diventa un fatto politico. E chi deve dare motivi per distinguere, se non i partiti stessi? Il Manifesto che lei ha citato è un invito ai partiti a guardare in faccia la realtà e a prendere contromisure, prima che la situazione sfugga di mano. Chi saprà farlo si salverà e ci salverà dalla demagogia”.
Nei giorni scorsi, dalle colonne dell’Unità, Alfredo Reichlin si è rivolto anche a lei dicendo sostanzialmente: stiamo attenti a criticare i partiti come se fossero tutti uguali…
“Ma io non ho mai detto questo. L’esperienza del governo tecnico è per sua natura temporanea. Ci sarà bisogno della ripresa di una normalità politica, della quale i partiti, in democrazia, sono condicio sine qua non. Non esiste democrazia senza strutture sociali che diano forma e sostanza alla partecipazione. Le chiamiamo partiti. Le modalità cambiano, anzi devono cambiare in accordo con le nuove forme di comunicazione e comunanza politica. Ma l’esigenza resta. C’è chi pensa a una democrazia senza partiti, per esempio alla cosiddetta democrazia telematica, che a me pare un’illusione. Il web ha due difetti: è atomistico e mobilitante. Può accendere gli animi, che poi si spengono. Può convocare le piazze – il che, qualche volta è un bene – ma non costruire politiche (vedi le rivolte in nord-Africa). La democrazia, diciamo così, è invece un fuoco lento ma costante che si alimenta di socialità e partecipazione. Ora, la critica ai partiti è antipolitica, se è indirizzata a farne a meno; è altamente politica, se è rivolta a chiedere loro, a incalzarli, a farli arrabbiare perfino, affinché si scuotano, si aprano, congedino coloro che non hanno più nulla da dire, diano un segno ideale della loro presenza, ritornino a essere attrattivi. Per non essere accusati di anti-politica dovremmo dire, mentendo, che tutto va bene? Questa sì sarebbe una pretesa anti-politica.”
Ora i partiti stanno provando, faticosamente, ad affrontare il problema del finanziamento della politica. C’è una proposta di legge che porta la firma di Alfano, Bersani e Casini 2. Cosa ne pensa?
“Il finanziamento pubblico è il classico tema su cui è facilissimo fare demagogia. A me pare che lo si dovrebbe collocare entro una riflessione d’insieme sulla politica e sulle sue forme. Tante cose si tengono insieme. Per esempio il sistema elettorale. Il finanziamento, così com’è, è funzionale all’organizzazione oligarchica, centralizzata e priva di controlli dei partiti; a sua volta, il sistema elettorale è diventato un sistema legale di cooptazione: finanziamento ed elezioni, così come sono organizzati, convergono in un esito comune, lo svuotamento della democrazia in basso e la concentrazione del controllo politico in alto. Chi decide della gestione dei fondi e della distribuzione dei posti sta nel cuore del potere: vorremmo vederci chiaro. Se la democrazia è il sistema politico che si basa sulla diffusione del potere, allora la gestione centralizzata delle risorse e delle candidature devono essere messi in discussione. Il sistema attuale sembra fatto apposta per spegnere le energie, promuovere il conformismo, premiare l’ubbidienza. C’è da stupirsi se nei partiti si formano giri di potere per il potere? E se il distacco, e qualche volta il disgusto nei loro confronti cresce?”.
Dunque no alla gestione centralizzata dei soldi. Ma c’è poi la questione dell’entità dei finanziamenti. Sono troppi?
“La domanda è: che cosa si deve finanziare? Una risposta seria e non demagogica a questa domanda dipende dalla risposta a un’altra domanda: che cosa ci aspettiamo dai partiti? Certo, ci sono le attività legate alle scadenze elettorali, quelle tutto sommato che pongono minori problemi, perché sarebbero più facilmente controllabili e, in buona parte, sostenibili non con denaro pubblico, ma con servizi pubblici, messi a disposizione in condizioni di parità. Ma i partiti non sono solo macchine elettorali. Sono associazioni politiche, il che è molto di più. Il loro compito è tenere insieme la società, attraverso una presenza costante e capillare, a contatto con le tante realtà territoriali e con i tanti problemi sociali che, affrontati in solitudine, diventano drammi o tragedie e, affrontati insieme in questo genere di associazioni, possono diventare domande politiche. Inutile dire quanto questa funzione sia importante, soprattutto nel tempo della crisi sociale che è tra noi. Ma tutto questo costa. Mi par di dire cose per un verso ovvie e, per un altro, lontane mille miglia dalla realtà”.
Torniamo ai soldi.
“Si fa un gran parlare di quest’ultima tranche di finanziamento, quasi 180 milioni di euro. Ci sono iniziative per congelarli, per devolverli. Ma se ci si limitasse a questo la reazione dei cittadini sarebbe: sono stati colti con le mani nel sacco e ora fanno un piccolo gesto. Solo perché sono stati scoperti, però. Se non lo fossero stati… Così, in futuro, saranno più accorti! Direi così: non si può far finta di niente, ma la semplice rinuncia alla riscossione significa riconoscere d’essere stati degli approfittatori. Invece, questa sarebbe l’occasione buona per farne non solo una questione di soldi, ma per mettersi in discussione, chiarire che cosa si vuol essere e che cosa si vuol fare, prendere le distanze, dissociandosi, da coloro che hanno usato denaro pubblico per fini privati, fare luce e pulizia. Non si dica che nessuno sapeva dei Lusi e dei Belsito. Chi li ha voluti lì, e perché li ha voluti? Troppo facile chiamarsi fuori. Ora i tagli sono certo necessari, se è vero che per attività istituzionali, i partiti nel loro insieme (non generalizziamo nemmeno qui) usano poco più di un quinto di quanto hanno ricevuto, e tanto più in un momento in cui i costi della politica devono essere ridotti. Ma il finanziamento è la coda, non la testa del problema”.
E le donazioni dei privati che ruolo possono avere?
“Vanno bene quelle micro, diffuse sul territorio. Queste sono forme di partecipazione disinteressata. Ma è difficile credere che, in questo momento, possano essere abbondanti. I grandi finanziamenti, invece, che provengono da imprese e gruppi economici sono sempre dei do ut des. Quindi devono avvenire nella massima trasparenza. Qui, la veridicità dei bilanci, non solo dei partiti, ma anche delle imprese è essenziale. Ma il reato di falso in bilancio è stato svuotato”.
E’ ottimista sul futuro? O crede che sia troppo tardi per il rinnovamento dei partiti?
“Certo, il tempo stringe. Questo è sicuro. Spero che ci sia una scossa, che si levino voci autorevoli, che non ci si illuda che basti glissare, perché tutto poi passa. Ora vedo un futuro difficile, che è un impasto di crisi sociale, di insofferenza nei confronti della politica, di demagogia, di frustrazione. Ma abbiamo il dovere di credere che non sia troppo tardi. Non c’è altro”.