L’ America degli anni ’70 e quella di oggi, la Cina della globalizzazione, l’Italia del dopo Berlusconi e il governo Monti, il fantasma della sinistra italiana e europea e sullo sfondo la grande crisi, paragonabile alla depressione del ’29. Di questo e molto altro si è parlato con Federico Rampini al Circolo della Stampa, in occasione della presentazione milanese del suo ultimo libro “Alla mia sinistra” (ed. Mondadori Strade blu). Il corrispondente di Repubblica arriva a Milano da New York in giorni difficili, con i trasportatori che bloccano mezzo paese e alla vigilia di uno sciopero di treni e mezzi pubblici. E subito il paragone corre al Cile di Allende paralizzato dai camionisti, ma per fortuna, nonostante i disagi, il paragone non regge. Introdotto da Sandra Bonsanti, Rampini apre raccontando le primarie americane, quelle della destra, che sta seguendo nella pancia profonda della “fly over country”, comunque un esercizio di democrazia, sottolinea, anche se stiamo parlando di Romney, il miliardario favorito per i repubblicani. E il ricordo vola all’America di ieri, alla California degli anni ’70, simbolo della beat generation e delle proteste contro la guerra in Vietnam dove il giovane giornalista di “Rinascita” (organo comunista) riesce a entrare per il rotto della cuffia. Dove però il seme della restaurazione e del liberismo sfrenato incarnato poi da Reagan già germoglia con la nascita del “Partito anti-tasse”, antesignano dell’odierno “Tea Party”. Di States si continua a parlare, della delusione che serpeggia nei confronti di Obama, dell’enorme speranza che aveva suscitato, della campagna di Move On, di cui lo stesso Rampini è stato attento osservatore. Del fallimento, a livello americano ed europeo, della cosiddetta “sinistra della terza via” incarnata da Clinton e Blair, ma in qualche modo anche da Obama, sconfitto nella battaglia della riforma sanitaria che oggi non è né carne né pesce, pagando anche la mancanza di radicalità nel difendere certe scelte annunciate nel programma presidenziale. Ma è la crisi economica a tornare inevitabilmente al centro della discussione e gli errori della sinistra nell’affrontarla. Non si è mai avuto il coraggio, dice Rampini, di mettere in pratica ciò che ad esempio proponeva Delors, quando negli anni ’80 era presidente della Commissione europea, imporre una carta sociale della globalizzazione, pensare a un modello di sviluppo che contenti tutti, non solo il mondo occidentale, ma anche la Cina, l’India, la Russia, i paesi arabi. Sinistra che ha perso le sue roccaforti persino nei paesi scandinavi, ex-regno del welfare state socialdemocratico. E in Germania, dove la Merkel, le sue politiche sociali e ambientali, sono un modello da imitare. Anche il governo Monti, naturale sbocco tecnocratico alla pesantissima crisi italiana non è certo un governo di sinistra. Il premier è un galantuomo, sostiene Rampini – è stato mio professore alla Bocconi – ma le sue politiche sociali sono “problematiche”, il sostegno alla crescita e all’occupazione è debole, e anche certe proteste corporative non sono tutte da condannare. Anche se, coniugare redistribuzione e risanamento del debito pubblico, non è certo una sfida facile. “Ma cos’è questa crisi?” cantava più di cinquant’anni fa Rodolfo De Angelis. Ce l’ha raccontata con garbo, competenza e passione Federico Rampini. Cercheremo di spiegarla anche noi di Libertà e Giustizia, nella scuola di formazione politica a Pavia che quest’anno è dedicata proprio alla difficile congiuntura economica e sociale che stiamo vivendo.
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