 L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 12  dicembre evoca il fantasma di uno «stato di eccezione» che investirebbe  la Costituzione e il suo funzionamento. Certo, viviamo un momento per  tanti aspetti «eccezionale». È anche «eccezionale» il modo in cui si è  risolta la crisi politica, con il Governo cosiddetto dei «tecnici»  appoggiato da una inedita maggioranza di «grande coalizione»  all’italiana (ma le grandi coalizioni sono strumenti utili in certe  circostanze).
L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 12  dicembre evoca il fantasma di uno «stato di eccezione» che investirebbe  la Costituzione e il suo funzionamento. Certo, viviamo un momento per  tanti aspetti «eccezionale». È anche «eccezionale» il modo in cui si è  risolta la crisi politica, con il Governo cosiddetto dei «tecnici»  appoggiato da una inedita maggioranza di «grande coalizione»  all’italiana (ma le grandi coalizioni sono strumenti utili in certe  circostanze).
Basta questo per parlare di stato di eccezione  costituzionale? Non è infrequente che le Costituzioni contemplino la  possibilità che sia proclamato uno stato di emergenza, che può tradursi  nella sospensione di garanzie costituzionali e nel trasferimento legale  di poteri tra organi dello Stato, per lo più a favore di organi  dell’esecutivo. Per esempio la Costituzione francese, all’articolo 16,  prevede poteri straordinari del presidente della Repubblica in casi di  gravi minacce alle istituzioni, alla indipendenza nazionale o  all’esecuzione di impegni internazionali quando «il regolare  funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto». La  nostra Costituzione contempla solo la deliberazione dello stato di  guerra da parte delle Camere, che in questo caso «conferiscono al  Governo i poteri necessari» (articolo 78). Previsioni del genere  riguardano comunque ipotesi in cui i normali poteri sono impossibilitati  a funzionare ed è in gioco la stessa sopravvivenza dello Stato.
Dove  è oggi, in Italia, la sospensione delle regole costituzionali e in  particolare di quelle sulla formazione del Governo e sui suoi poteri? Il  Parlamento continua ad esercitare tutte le sue competenze. Il Governo è  stato nominato a seguito delle dimissioni del precedente per lo  sfaldamento della sua maggioranza, e ha ottenuto la fiducia delle  Camere. Esso esercita i suoi poteri tipici, compreso quello (in passato  assai abusato, ma in questo caso non contestabile) di disporre misure  urgenti con decreto legge, regolarmente sottoposto alle Camere per la  conversione, pena la decadenza. Al più tardi nel 2013, alla scadenza  della legislatura, eleggeremo un nuovo Parlamento. Nella primavera  prossima, se la Corte costituzionale lo dichiarerà ammissibile, ci sarà  il referendum sulla legge elettorale.
Si sottolinea il ruolo  particolarmente incisivo esercitato dal Capo dello Stato. Ma sappiamo  bene che il presidente di una Repubblica parlamentare, e in particolare  della nostra Repubblica, ha un ruolo definito dalla Costituzione in modo  alquanto elastico, e che tuttavia non gli consente mai di sostituirsi a  Governo e Parlamento: decide solo su certi atti, e per il resto può  solo consigliare, stimolare, ammonire, anche pressare, nell’esercizio  del suo «magistero di persuasione e di influenza» e in nome di esigenze  che, pur secondo il suo soggettivo apprezzamento, si riconducono  all’interesse della «unità nazionale» che egli costituzionalmente  rappresenta. Non è mai stata derogata la norma costituzionale per la  quale «nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è  controfirmato dai Ministri proponenti» (o almeno competenti).
Sappiamo  bene anche che questo ruolo può, in costanza delle stesse regole  costituzionali, espandersi o ridursi di fatto in relazione alla  situazione politica. Quanto più emergono divisioni, incertezze e  difficoltà politiche, tanto maggiore sarà lo spazio per la influenza del  Capo dello Stato. Quanto più Governo e maggioranza sono determinati e  compatti, e il Parlamento è concorde su ciò che unisce, tanto minore  sarà tale spazio. Anche l’idea del presidente della Repubblica come  «motore di riserva» del sistema allude a questa elasticità di fatto, non  ad una sostituzione di esso agli altri organi, secondo l’antica  versione del Capo dello Stato come «reggitore dello Stato nelle crisi  del sistema». Ne parlava il costituzionalista Carlo Esposito nel 1960, e  si riferiva alle ipotesi in cui per il mancato funzionamento dei  meccanismi costituzionali spetterebbe, secondo questa tesi, al Capo  dello Stato la potestà di «sostituirsi al Parlamento e provvedere con  ministri da lui nominati e godenti la sua fiducia» invece di quella del  Parlamento.
Di tutto ciò non c’è traccia nell’Italia di oggi; come  non c’è traccia di accoglimento della tesi (giustamente criticata da  Galli della Loggia), per cui la Costituzione prescriverebbe che la  composizione del Governo sia decisa dal Capo dello Stato: i Ministri  sono sì nominati dal presidente, ma «su proposta» del presidente del  Consiglio, e con atti da lui controfirmati. Non si può confondere  l’influenza esercitata con i poteri costituzionali.
In realtà il gran  parlare di emergenza, in questo campo, può solo incoraggiare  l’aspirazione a superare il sistema parlamentare, in vista di un assetto  nel quale gran parte dei poteri si concentrino in un capo  dell’esecutivo scelto direttamente dagli elettori: concezione non nuova,  ma «povera», della democrazia, lontana dal suo più genuino significato  di autogoverno di una società pluralista.
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         Domenico Gallo
Domenico Gallo