Manovra: i conti non tornano

30 Agosto 2011

Siamo alla correzione della manovra, praticamente una riscrittura, ma se il Cavaliere fiuta nell’aria nuovi sondaggi sfavorevoli, magari a dicembre come già qualcuno dice, ci ritroveremo ad aver bisogno dell’ennesima manovra correttiva. E speriamo che l’Europa non si stanchi di noi e del nostro pagliaccesco governo

Chissà se i titoli sulla “stretta” alle pensioni faranno soffrire Berlusconi come quelli sull’aumento delle tasse che definivano sui giornali la manovra prima versione. Se sarà così, se cioè il Cavaliere fiuterà il rischio di un nuovo tonfo nei sondaggi, allora si può star certi che cercherà qualche altra idea brillante per riscrivere anche la seconda versione e renderla inoffensiva per il suo indice di gradimento. Perché questa è l’unica cosa che interessa a lui e agli altri capi di questa maggioranza in crisi di identità. Non lo stato dei conti pubblici e il futuro del paese, ma la loro personale convenienza politica. E pazienza se a rimetterci sarà l’Italia. Che ci rimetterà, si può starne certi.

Già l’effetto sulle Borse non sembra brillante. Ora bisogna vedere che ne dirà l’Europa, dopo i tanti soldi spesi per sostenere i titoli pubblici italiani. E’ difficile che gradisca, sia perché pare, secondo le prime voci filtrate dal Tesoro, che i conti non tornino sul versante delle entrate, sia perché l’effetto dei tagli si farà sentire, nella migliore delle ipotesi nella prossima legislatura.

Non si tratta di pregiudiziale ostilità verso questo governo, ma di semplice buon senso. Le misure antievasione, che dovrebbero sostituire il cosiddetto “prelievo di solidarietà” sui redditi più alti, sono difficilmente quantificabili e comunque restano ben al di sotto delle necessità: bisognerebbe ripristinare la tracciabilità dei pagamenti al di sopra dei mille euro, e magari approfittare dell’eccezionalità della situazione per introdurre finalmente la detraibilità di alcune spese (quelle per l’idraulico o l’elettricista) che renderebbero conveniente per il cliente pagare la fattura maggiorata dell’Iva e costringerebbero il professionista a denunciare l’incasso.

Quanto ai risparmi, il piatto forte è rappresentato dall’abolizione delle province e dal dimezzamento dei parlamentari. Ottime cose, che però non possono essere contabilizzate adesso perché verranno realizzate, se mai lo saranno, nella prossima legislatura. Vediamo.

L’abolizione delle province comporta il risparmio non dello stipendio dei dipendenti, che non possono essere licenziati e dovranno essere riassorbiti nelle altre amministrazioni pubbliche, ma di quelli dei presidenti e dei consiglieri provinciali. Benissimo, ma bisogna sapere che non basta un tratto di penna: le province hanno funzioni che altri dovranno svolgere al loro posto. Le regioni, si dice, e va bene, purché si vigili che non nascano altri poltronifici per gestire questa o quella delle ex funzioni regionali. E’ chiaro che se andrà così saremo al punto di partenza.

Il dimezzamento del numero dei parlamentari è altrettanto complicato, perché comporta la ridefinizione del modo di lavorare dei due rami del Parlamento, e dunque dei loro regolamenti, nonché il ritocco della legge elettorale, calibrata sull’attuale numero di eletti.

Il tutto tenendo presente che si tratta di leggi costituzionali, perché sia le province che il numero dei parlamentari sono in Costituzione, e dunque con i tempi lunghi che questo comporta.

Intendiamoci: si tratta di due buone propositi, che le opposizioni dovrebbero impegnarsi a sostenere nella giusta prospettiva. Ma spacciarli per tagli alle spese è una sciocchezza. Nel migliore dei casi le due leggi potranno essere approvate entro la fine della legislatura ed essere efficaci nella prossima. E i nostri conti hanno bisogno di interventi immediati.

C’è da aspettarsi, dunque, che a un certo punto, magari a dicembre come già qualcuno dice, ci ritroveremo ad aver bisogno dell’ennesima manovra correttiva. E speriamo che l’Europa non si stanchi di noi e del nostro pagliaccesco governo.

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