Quello che vale per ciascuno di noi, vale per Silvio Berlusconi? L’etica pubblica che vincola gli attori politici, obbliga anche il Cavaliere? E, soprattutto, la legge è uguale anche per il capo del governo? Sono le domande che attendono una risposta mercoledì quando Berlusconi terrà alla Camera un discorso che i suoi annunciano memorabile. Vedremo se lo sarà davvero.
Di certo, il capo del governo è atteso a una prova decisiva e ci si augura che, come al solito, non giochi la partita da parolaio fumigante trasformando la notte in giorno, il bianco in nero. Anche perché quegli interrogativi si sono irrobustiti dopo il pubblico chiarimento offerto dal presidente della Camera. Bene, c’è un bruscolo nell’occhio di Gianfranco Fini. È colpevole forse di aver dato fiducia a un “cognato” scavezzacollo. Ipotizziamo la scena peggiore (finora non dimostrata). Il “cognato” ha imbrogliato il presidente della Camera. Ha simulato la compravendita della casa di Montecarlo. In realtà, se l’è comprata nascondendo la proprietà diretta dietro il paravento di una società off-shore dell’isola caraibica di Santa Lucia. Se così fosse, Fini si dimette (è il suo impegno). È responsabile di “ingenuità”. Ecco il peccato perché, come ricorda, “non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno; non è coinvolta l’amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione né concussione”. A sollecitare questo atteggiamento c’è un archetipo del sentimento morale – la vergogna – e il tormento di una coscienza che avverte come propria anche la colpa altrui che non si è riuscito a intuire, prevedere, annullare. Le dimissioni mi sono imposte, dice Fini, dalla “mia etica pubblica”, anche se “sia ben chiaro, che personalmente non ho né denaro, né barche né ville intestate a società off-shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse”.
È sotto gli occhi di tutti la disarmonia tra quel che viene rimproverato, urlato a Fini e quel che viene perdonato o addirittura colpevolmente dimenticato di Berlusconi. Come è stravagante non scorgere il disequilibrio tra i possibili esiti politici. Per i libellisti della “macchina del fango” organizzata dal Cavaliere – e anche per qualche corista che si dice neutrale – Fini deve scomparire. Un peccato di ingenuità in un affare privato dovrebbe determinare le sue dimissioni da presidente della Camera mentre, al contrario, una diretta, documentata, consapevole responsabilità in comportamenti criminali che hanno corrotto gli affari pubblici e provocato un danno alle casse dello Stato dovrebbe essere così trascurabile da consentire a Berlusconi di governare fino alla fine della legislatura prima di ascendere addirittura al Colle più alto come presidente della Repubblica. Le memorie deperiscono in casa nostra. Conviene rianimarle con quale fatto.
La KPMG, una delle più prestigiose società di revisione contabile del mondo, un colosso dell’accounting, l’arte della certificazione di bilancio, deposita – il 23 gennaio del 2001 – 800 pagine di un’analisi tecnico-contabile di sette anni di bilanci della galassia societaria Fininvest, dal 1989 al 1996, quella che per brevità è stata chiamata “All Iberian”. Si sa quel che dice il Cavaliere di “All Iberian” (“Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario”, Ansa, 23 novembre 1999).
Il documento di KPMG  racconta come vanno le cose nella società di Berlusconi: Fininvest  sommerge buona parte della sua contabilità. Nascosta da un doppio  registro, movimenta, nei 7 anni analizzati dalla perizia, almeno 3 mila e  500 miliardi, 884 dei quali occultati su piazze off-shore. “Per  alterare la rappresentazione della situazione economica, finanziaria e  patrimoniale nel bilancio consolidato Fininvest”, scrive KPMG. Si scopre  che la Fininvest opera attraverso due comparti societari. Il “Gruppo A”  – ufficiale – e il “Gruppo B”, riservato. Lo spiega l’avvocato inglese  David Mills, che ne costruisce l’architettura riferendone direttamente  anche a Silvio Berlusconi: “Il Gruppo B è un’espressione utilizzata per  differenziare le società ufficiali del gruppo A da quelle, pur  controllate nello stesso modo dalla Fininvest, che non dovevano apparire  come società del gruppo per essere tenute fuori dal bilancio  consolidato. Un promemoria definiva le società del gruppo B “very  discreet” (molto riservate), perché il collegamento con il gruppo  Fininvest rimanesse segreto”.
La KPMG individua 64 società off-shore  su tre livelli. Al primo appartengono 29 sigle, distribuite  geograficamente in quattro aree. “Ventuno società hanno sede nelle Isole  Vergini inglesi, cinque nel Jersey, due alle Bahamas, una a Guernsey”.  “Altre tredici società – anch’esse off-shore – formano il secondo  livello. Si tratta di “controllate” da società del primo livello da cui  non si distinguono né per funzioni, né per organizzazione societaria”.  Caratteristica comune anche alle 22 sigle del terzo ed ultimo livello.  Ancora KPMG: “La gestione (di queste società) è a cura di amministratori  e personale del gruppo Fininvest”. I reali beneficiari (beneficial  owner) sono “amministratori, dirigenti, consulenti o società del gruppo  Fininvest”. Dalla Fininvest “dipende quasi esclusivamente il loro  finanziamento che avviene attraverso le medesime banche e società  fiduciarie”.
Ricapitoliamo: c’è un comparto segreto, protetto  all’estero, ne fanno parte 64 società direttamente controllate da  Fininvest. In nome e per conto di Fininvest, concludono transazioni in  settori ritenuti strategici per il Gruppo. I loro bilanci sono  invisibili, ma solo alla contabilità ufficiale, perché i dirigenti di  Fininvest ne hanno il pieno controllo. Come abbiamo già detto, tra il  1989 e il 1996 attraverso il comparto B sono stati stornati dai bilanci  Fininvest 884 miliardi e 500 milioni. Cifre parziali, sostiene KPMG,  perché “i conti cui è stato appoggiato per sette anni il comparto  migrano verso le Bahamas. A Nassau, in Norfolk House, a Frederick  Street, ha sede la Finter Bank & Trust. Qui, su nuovi conti sarebbe  affluita la ricchezza del fu comparto B”.
A meno che Silvio  Berlusconi non l’abbia fatta rientrare in Italia protetta dallo “scudo”  costruito dai suoi governi, si può ragionevolmente dire che ancora oggi  egli custodisce in paradisi fiscali una parte del suo patrimonio. Può  Berlusconi muovere l’arsenale politico, economico, mediatico che ha  sottomano per liquidare un presidente della Camera dissidente  chiedendogli conto di un indimostrato bruscolo (una fiducia mal riposta)  che quello, Fini, ha negli occhi e restare al suo posto nonostante le  prove dell’affarismo societario che fanno di lui, Berlusconi, un  primatista indiscusso? Quale “regime personale” può giustificare questa  difformità? Quale assuefazione dello storto sul diritto? Nessuna ragione  potrebbe spiegarla, se non un abuso di potere o un potere che si fa  violenza o la colpevole rassegnazione a un peggio che non trova mai un  limite. A ben vedere, anche il conflitto con Gianfranco Fini chiama il  presidente del Consiglio a un passo memorabile, alla necessaria  decisione di rivelare di quale trama è fatta la sua etica pubblica, di  dimostrarsi finalmente all’altezza della sua responsabilità e della sua  ambizione. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Berlusconi rinunci alla  tentazione di stringere intorno al collo del Paese la corda dei suoi  affanni. Non sprofondi il Parlamento in una nuova stagione di leggi ad  personam (immunità costituzionale, legittimo impedimento, processo  breve, limiti agli ascolti telefonici). Difenda il suo onore, come ha  fatto Gianfranco Fini. Pretenda di dimostrare nei processi che lo  attendono a Milano la trasparenza della sua fortuna. Eserciti nell’aula  di un tribunale e non nel Palazzo del Potere i diritti della difesa.  Rivendichi con dignità di essere cittadino tra i cittadini con gli  stessi diritti e gli stessi doveri di chiunque. Reclami – egli –  l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e chieda di essere  processato senza alcuno scudo, impedimento, immunità. Metta da parte i  suoi affanni e ossessioni per lasciare libera la politica – il governo,  il Parlamento – di affrontare le difficoltà del Paese. Si deve tornare a  chiederglielo. Presidente, domani, con solennità vuole dire e  finalmente dimostrare che la legge in Italia è davvero uguale per tutti?


 
                 
                 
                 
                 
                 
                 
                 
                 
                 
                 
         
         
         Domenico Gallo
Domenico Gallo