Giustizia, l’ultimo affondo

27 Settembre 2010

Attacco ai magistrati e impunità per Silvio Berlusconi. Alla festa milanese del Pdl il ministro della Giustizia Alfano rilancia la riforma e il deputato e avvocato del presidente del Consiglio spiega che prima di tutto bisogna evitare che Berlusconi sia sotto processo.

Angelino Alfano, ministro della Giustizia

“Ogni volta che si parla di giustizia, c’è una sorta di riflesso antiberlusconi”.
“All’opposizione il sistema giustizia  va bene così, a noi no. Per la giustizia la prospettiva più sbagliata è la rassegnazione”.

“Dobbiamo fare quello che non siamo riusciti a fare dal 1994 e il motto di questa riforma deve essere: parità tra accusa e difesa”.
“Il giudice deve essere equidistante da accusa e difesa e invece nel nostro sistema processuale i protagonisti sono tre: pm, avvocato e giudice. Di questi tre, due fanno lo stesso concorso, frequentano lo stesso ufficio, magari se sono uomo e donna si fidanzano e poi il giorno dopo in tribunale fingono di darsi del lei, anche questo non è positivo”.

intervistato dal direttore del Tg1 Augusto Minzolini ha stigmatizzato “la vergogna delle fughe di notizie” che appaiono sui giornali. “Oltre a separare la carriera dei pm e dei giudici – ha detto parlando del palco della Festa delle Libertà – bisognerebbe anche separare le carriere tra alcuni pm e alcuni giornalisti, altrimenti non se ne viene fuori”.

Niccolò Ghedini, deputato Pdl e avvocato del premier

“Non possiamo dire nel 2013 che abbiamo trattato al nostro interno. Non è più tempo di trattare: va fatta la riforma”.
“Prima di raggiungere qualsiasi risultato bisogna evitare che il presidente del Consiglio sia sotto processo perché ogni volta le riforme vengono strumentalizzate dicendo che servono a lui. Non è cosi”.

“Abbiamo una magistratura a cui non dispiacciono i processi a Berlusconi perché le consentono di gridare al golpe e mantenere il suo straordinario potere”.

“Pm, avvocato e giudice sono i tre perni della giustizia. Di questi, due fanno lo stesso concorso, stanno nello stesso ufficio, prendono il caffé nello stesso bar – ha sottolineato – e se l’ufficio è piccolo capita pure che si fidanzino e poi il giorno dopo in tribunale fingono di darsi del lei”.

Il processo disciplinare nell’ambito del Csm “non funziona, perché non funzionano i magistrati che vogliono mantenere inalterato il loro potere”.
“Nel 1994 Berlusconi riceve un avviso di garanzia. Quando dieci anni dopo è stato assolto  non è successo nulla. Ma questo succede anche per altri, come nel caso di Vittorio Emanuele”.
“Il Csm  apre pratiche a tutela dei colleghi solo quando Berlusconi osa criticare un magistrato”.
“Finora non siamo riusciti a riformare la giustizia per i veti incrociati al nostro interno, ma oggi non é più tempo di aspettare. Dobbiamo presentare queste riforme e bisogna che le si approvi, altrimenti è meglio andare a casa”.

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