Una prova ulteriore – e oggi grave quant’altre mai – degli effetti devastanti della concezione proprietaria delle istituzioni che è un fulcro della gestione berlusconiana del potere? La prova sta in quella sorta di ulteriore, aberrante “giustificazione” della richiesta che Gianfranco Fini abbandoni la presidenza della Camera: perché egli sarebbe (parole del colonnello-coordinatore La Russa sul Corriere di mercoledì 8) “da intralcio al corretto rapporto istituzionale con il governo”.
Era almeno da un anno che i presidenti del gruppi dell’ex Pdl alla Camera e al Senato, Cicchitto&Gasparri, teorizzavano (ed erano riusciti spesso a fare applicare, almeno a Palazzo Madama grazie alla cortesia di Renato Schifani) la devastante idea del continuum tra il governo e la sua maggioranza parlamentare. Devastante per almeno tre motivi: perché così la divisione tra i poteri legislativo ed esecutivo va a fasi benedire; perché vuol soffocare ogni possibilità di reale confronto (motivo in più per il ricorso alle fiducie e ai decreti ad ogni pie’ sospinto); perché in buona sostanza traduce Camera e Senato in sede notarile di registrazione della volontà di un leader-padrone.
Ecco: oggi la portata di questa teoria viene disvelata in tutta la sua gravità e messa a frutto – sfacciatamente – come sbocco trionfale della campagna contro il presidente della Camera.
Fosse questo frutto solo della pratica berlusconiana, diremmo: niente di nuovo sotto le nubi di questa estate in cui se ne son viste (preziosa ammissione di un insolitamente ironico Giorgio Napolitano) di tutti i colori. Ma il guaio è che a far da eco a certe sirene ritroviamo anche una voce insospettabile: quella del professor Augusto Barbera, ex parlamentare Pci-Pds ed autorevole costituzionalista. “Il nostro sistema prevede – ha sostenuto mostrando di ignorare quanti presidenti di opposizione abbiano in questi ultimi trent’anni presieduto, e con assoluta correttezza, il Parlamento – che ci debba essere buona sintonia tra il governo e i presidenti delle assemblee, perché l’ordine del giorno non lo fissa l’esecutivo ma la conferenza dei capigruppo con una maggioranza qualificata”. E Barbera ha soggiunto: “In mancanza di questa maggioranza qualificata è proprio il presidente a tirare le somme”. E se viene meno la “sintonia”? gli chiede il Corriere. Risposta: “Nasce un serio problema. Politico, non istituzionale”. Sarebbe interessante sapere dal professor Barbera quali e quanti “seri problemi” sono sorti, a suo tempo, con le presidenze Iotti, Napolitano, Bertinotti (e non citiamo il loro predecessore Ingrao perché c’era la solidarietà nazionale).