Berlusconi e il suo partito indeboliti, le elezioni sempre più vicine, il futuro del Paese oppresso da nebbia fitta. E una domanda che ci assilla con la ferocia degli incubi: ma noi in che mani siamo? Sono al lavoro gli strateghi di ferragosto. Mi riferisco a quello che resta dell’area di opposizione istituzionale, chiamiamola così. Da una parte il nuovo centro lancia aut aut al Pd: scegli o con noi o con Di Pietro e Vendola. Il Pd risponde dividendosi in almeno due anime (chiamiamole così ma se avessero davvero un’anima non ci farebbero patire tanto…), tanto per cambiare veltroniane e d’alemiane. Divisi sulle alleanze, sulle primarie, sul sistema elettorale da proporre. I primi insistono sul bipartitismo, ma i due partiti che dovevano costituirlo, Pdl e Pd, sono a un passo dal fallimento. I secondi vorrebbero una legge elettorale che consentisse al centro di irrobustirsi e crescere. Ai primi evidentemente andrebbe bene anche andare al voto con il porcellum e subito. Agli altri, no. Non sono questioni da poco, ma strategiche.
Tornare a votare ora e così significa però riavere lo stesso Parlamento nominato e non eletto, gli stessi deputati e senatori, gli stessi burattinai e gli stessi burattini.
Cambiare qualcosa prima del voto, con un nuovo governo, sarebbe certo meglio. Ma con quale governo? E qui gli strateghi si dividono di nuovo e il buio si infittisce.
Gli strateghi di ferragosto non hanno capito che i cittadini sarebbero riassicurati soltanto dalla loro uscita di scena, dopo anni e anni di sconfitte e di vittorie berlusconiane.
Un sogno di ferragosto, ma sognare non è vietato. E’ forse solo inutile.
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