Visto in tv, Berlusconi appare quello di sempre. Vale a dire che chi lo ama gli crederà, come al solito. Tuttavia mai come in questo caso le bugie hanno le gambe corte: basterà guardarsi in tasca tra qualche mese per capire chi verrà colpito da questa manovra e chi no. E sarà allora che gli italiani, almeno quelli che lo vorranno, potranno risvegliarsi dall’ipnosi.
Ma ci sono alcune considerazioni da fare subito. Innanzitutto gli espedienti scenici. Il primo recita che il disastro dei conti pubblici è tutta colpa della sinistra. Vecchia storia, che ignora come il Cavaliere abbia governato molto più a lungo dei suoi avversari, che tuttavia sono riusciti a tappare i buchi di bilancio che da lui avevano ereditato. Il secondo espediente è nuovo di zecca. Non c’è una crisi economica, dice l’uomo che l’ha sempre negata, ma ce ne sono addirittura due: quella provocata dagli Usa con i mutui sub-prime, che l’Italia berlusconiana ha brillantemente superato; e quella causata dalla Grecia, che l’incolpevole governo si trova ora ad affrontare e che è la causa degli attuali sacrifici. Tra le due, assicura il premier, non c’è “nessunissima” relazione. Come direbbe Ghedini: ma va là!
Un altro elemento è la qualità politica dei tagli. Si colpiscono i dipendenti pubblici, che nell’immaginario berlusconiano sono per lo più elettori del centro sinistra, con la scusa che hanno il posto fisso, merce rara in Italia, e hanno avuto aumenti più alti di quelli del settore privato. Ma così si vanno a penalizzare stipendi che, esclusi quelli degli alti dirigenti, sono già piuttosto bassi, con inevitabili ripercussioni sui consumi interni. E’ difficile che gli imprenditori possano rallegrarsi di un’ulteriore contrazione del mercato. Chissà se ne chiederanno conto all’uomo che è ancora (ancora!) ministro ad interim dello Sviluppo Economico.
Anche la piccola potatura delle province ha un sapore politico. Si salvano quelle di colore leghista (“Se mi toccano Bergamo sarà guerra civile”, ha sobriamente commentato Bossi), pagano le altre, collocate soprattutto al Sud. E qui la vicenda appare vagamente autolesionista per un Pdl fortemente meridionalizzato, così che si capiscono i sospetti di Berlusconi sul ruolo di Tremonti come alfiere della Lega e possibile concorrente al trono di Palazzo Chigi.
Così arriviamo alle ricadute politiche della manovra. Nonostante il tentativo di mostrarsi fraterni nella conferenza stampa a Palazzo Chigi, tra il premier e il suo ministro dell’Economia la diffidenza è al massimo. Tanto che è in corso una scambio di ambascerie con Fini per tentar di arginare lo strapotere del duo Tremonti-Bossi. Operazione complicata, perché i finiani non sembrano disposti a lasciarsi trattare come semplici pedine.
Certo, Berlusconi potrebbe giocare la carta dell’accordo con le opposizioni, facendosi forte dell’appello di Giorgio Napolitano alla coesione nazionale di fronte all’emergenza. Ma anche questo non appartiene al dna del Cavaliere. Avrebbe dovuto riconoscere all’odiato Visco di aver fatto qualcosa di buono, per esempio nella tracciabilità dei pagamenti appena ripristinata. E avrebbe dovuto evitare di accusare i possibili interlocutori di essere la causa degli odierni disastri. Così ha facilitato il compito di Bersani, che potrà guardare con distacco i contorcimenti della maggioranza, e ha fatto crescere il peso di Casini, che venderà assai caro il suo eventuale appoggio.
Senza contare la rivolta degli amministratori locali, compresi quelli del centro destra. “Non credo che dovranno aumentare le tasse”, ha detto il Cavaliere lavandosene le mani. Davvero? Se non lo faranno dovranno tagliare i servizi. In entrambi i casi i cittadini se ne accorgeranno e non ne saranno contenti. Basterà a placarli l’annunciato taglio ai costi della politica? E’ difficile, anche perché quei tagli si fanno di ora in ora più evanescenti. Infatti va detto che questa manovra non la conosciamo ancora nel dettaglio. Finché Napolitano non l’avrà firmata, al suo rientro dagli Usa, tutto potrà essere riscritto. E immaginiamo che siano in corso trattative frenetiche. Ne conosceremo presto il risultato. E sarà interessante vedere come saranno trattate alcune voci faraoniche di spesa. Per esempio: che fine fa il ponte sullo Stretto? Qualcuno può rispondere?
Il Pd rigolettiano
Il governo ha presentato la sua manovra, fa la sua parte: dannosa per ultimi e penultimi e complice con i primi e i secondi della scala censitaria. La manovra è nota da tre giorni. Le cause sono note da anni.
Domando: c’è qualcuno che faccia qualcosa nel Pd? Come mai in tre giorni nessuno ha nemmeno abbozzato una proposta organica di manovra alternativa?
Muti d’accento e di pensiero tutto il Pd, come la “donna mobile” del Rigoletto…
«Il punto, naturalmente, non è l’entità della manovra (24 miliardi) chiesta all’Italia dall’Europa: la questione politica resta la suddivisione dei sacrifici da fare, faccenda intorno alla quale all’interno della maggioranza di governo sono ancora in corso diversi (e aspri) bracci di ferro. …. Oltre a questo, poco altro. Il capo dello Stato ha informato più nel dettaglio il premier circa l’incontro avuto col presidente Obama… Per il resto, poco o nulla: … c’è chi non nasconde la preoccupazione per problemi ancor più seri che potrebbero sorgere quando il testo arriverà al Colle. Sarà un decreto? Magari un decreto-monstre di un unico articolo con dentro tutto e il contrario di tutto? E sul provvedimento verrà poi chiesta la fiducia? Dalla risposta a questi interrogativi dipenderà il tenore del prossimo incontro tra i presidenti: e al momento nulla può far escludere che non si risolva nell’ennesimo faccia a faccia gravido di tensioni…» (Geremicca – La Stampa – )
Dovremmo concludere, a questo punto, che ha ben donde il Cavaliere di dichiararsi premier dal nullo potere, in grado solo di ordinare al proprio cavallo il senso di marcia, ma null’altro. Sarebbe veramente opportuno che questa dicotomia contenziosa fra Esecutivo e Legislativo fosse finalmente superata, e non tanto per darla vinta al Cavaliere che amerebbe essere un cavallo libero da briglie, ma per consentire al Governo della “Res Publica” quell’agilità decisionale che oggi è imbrigliata dagli umori costituzionalizzati del Colle o di chi ama fini sentiri per darsi un lustro.
Viviamo un’epoca di cambiamenti repentini, l’instabilità sociale richiede immediatezze che non si trascinino in battibecchi stressanti fra chi la vede lunga e chi corta, una decisione assunta in ritardo di 24 ore può bruciare in Borsa (ed è già avvenuto) centinaia di miliardi di euro o dollari che siano. Ề il bene comune che deve starci a cuore, i filosofismi PANNELLIANI è meglio che si tacciano, la casa brucia e i pompieri non possono essere preoccupati dai colori delle pompe.
La forma democratica è lo stile con il quale il potere deve esercitare il suo imperio per governare lo Stato, ma se indugiamo in chiacchiericci arzigogolati, lo Stato andrà in malora, e i cittadini con lui. Naturalmente non intendo nessuna forma di governo autocratico, è la massima oraziana che deve guidarci: “Est modus in rebus…”
Celestino Ferraro