Ma cosa ha mai detto Dario Franceschini a Lucia Annunziata? In realtà la proposta dell’attuale capogruppo dei deputati Pd è abbastanza elementare e, a ben vedere, non è neppure una proposta. E’ piuttosto un abbozzo di risposta al possibile precipitare della disastrata compagine berlusconiana verso le elezioni anticipate: un governo di emergenza (o di unità nazionale, o di salute pubblica, chiamatelo come volete) che unisca le forze migliori di destra e sinistra e impedisca al paese di cadere nel baratro.
Lo aveva già detto Casini, e anche lui, come accade oggi a Franceschini, si era preso una buona dose di contumelie. L’obiezione più irridente? Eccola: non si è mai vista un’opposizione che ha paura delle elezioni anticipate. E’ vero, ma non c’è nulla di strano nel rifiutare di partecipare all’ennesima partita truccata. Truccata da una par condicio che non riesce ad arginare gli straripamenti televisivi berlusconiani e da una legge elettorale che sottrae ai cittadini ogni effettivo potere di scelta. Non si vede perché l’opposizione dovrebbe rassegnarsi a far da comparsa in una simile sceneggiata. Dovrebbe cercare di cambiare le regole prima di scendere in campo. E anche questo potrebbe fare un governo deberlusconizzato.
Ma, ed è questa soprattutto la ragione dell’emergenza, dovrebbe impedire all’Italia di precipitare nel baratro di una crisi economica che finalmente anche il governo riconosce come drammatica. Perché solo con una assunzione di responsabilità collettiva si potranno prendere le necessarie e dolorose contromisure.
Naturalmente tutte queste buone ragioni sono le stesse che spingeranno il Cavaliere ad ostacolare una simile soluzione. Che renderebbe chiara agli italiani l’inadeguatezza del berlusconismo al governo, che favorirebbe la nascita nel centro destra di nuovi equilibri di forze, che disegnerebbe per il paese un orizzonte dove non ci sarà più posto per Berlusconi.
Si capisce perciò che il premier farà fuoco e fiamme per impedirlo. Quel che non si capisce è perché oggi sia il centro sinistra a guardare con sospetto Franceschini, come ieri ha guardato con sospetto Casini. O, meglio, si capisce benissimo: il Pd vede tutto attraverso la lente dei suoi rapporti interni. E prima di chiedersi se una certa ipotesi giova alla sua battaglia contro l’avversario politico, si chiede se quell’ipotesi sia contro il segretario, se dietro ci siano Veltroni o D’Alema, se sia una cosa da ex democristiani contro gli ex Ds. Così si finisce all’assurdo per cui suscita più scandalo un’idea nata nel Pd che una nata fuori, e che per star tranquilli l’unica soluzione è rimanere immobili.
È ovvio che questa strada non porta da nessuna parte, e che si deve fare esattamente il contrario: ragionare sulle proposte che emergono valutandole alla luce della loro congruità politica generale. E se poi l’ideatore ne trarrà prestigio, buon per lui e per tutto il partito. L’importante è che ne traggano vantaggio gli italiani.