Cose che non si erano mai viste nel partito del Cavaliere. Cose che sono diventate possibili da quel giovedì 22 aprile in cui Berlusconi e Fini si scontrarono in diretta tv e andò in frantumi il partito del predellino, della ola, del karaoke. La decisione del presidente della Camera di far saltare l’incontro con uno dei coordinatori del Pdl (“Basta intermediari, aspetto risposte politiche”) è un segnale chiaro che i rapporti sono ormai al lumicino. Parlare di coabitazione è un eufemismo. Siamo alla guerriglia quotidiana. Che logora il carisma del Capo.
Lo scontro è tutto politico, al di là dei rancori e delle ritorsioni. Le risposte che Fini si attende investono, infatti, due questioni che minacciano di far crollare tutta la costruzione berlusconiana. Da una parte, un approccio diverso alla questione giustizia, tale da salvaguardare quel “concetto della legalità” che il presidente della Camera ritiene proprio della destra. Dall’altra, la crisi economica, con le conseguenze che deriverebbero per l’attuazione del programma di governo. Il primo tema tocca il nervo scoperto del Cavaliere, reso ancor più sensibile dalle inchieste in corso, che potrebbero avere, come ormai si teme nel Pdl, un “esito catastrofico”. Il secondo mette in discussione la diarchia Berlusconi-Bossi, perché i sacrifici imposti dalla crisi, le riforme di struttura reclamate dall’Europa, vanno a frenare il federalismo della Lega, una riforma che, almeno nella fase iniziale, non è a costo zero.
Certo, Fini non ha molti seguaci in questa battaglia interna. Tuttavia, la sua posizione è rafforzata da due elementi. Anzitutto, il suo ruolo istituzionale di presidente della Camera. In secondo luogo, il fatto che, malgrado la guerra di nervi col Cavaliere, la sua iniziativa politica si colloca tutta dentro il centrodestra e il Pdl, vanificando i tentativi di presentarlo sotto lo slogan del “compagno Fini”. Il governo dovrà dunque fare i conti con il dissenso, le riforme istituzionali dovranno fare i conti con le obiezioni costituzionali che partiranno dall’interno della maggioranza, e così seguitando. Tutte cose insopportabili per il premier. Incompatibili con la natura del Pdl che è un partito personale, la versione allargata di Forza Italia.
Fini, a questo punto, si sente meno debole. E, parallelamente, Berlusconi si sente meno forte. Comunque il Cavaliere continua a giocare la sua partita a Risiko. Ha anche pensato di poter cucinare l’alleato-rivale col vecchio metodo dc della politica dei “due forni”. Per Fini, ci sarebbe il “forno” offerto dall’ultima proposta di Casini. L’appello del leader dell’Udc, a favore di un governo di salute pubblica o di responsabilità nazionale, non è visto in chiave antiberlusconiana. Anzi, può offrire le condizioni per riprendere un dialogo, sottraendosi a compagni di strada ormai “insopportabili”. L’emergenza, che finora ha giocato contro il premier, potrebbe, questa volta, giocare a suo favore. Ma, nell’immediato, incombono le inchieste giudiziarie. Prima di far maturare nuovi equilibri, bisogna accertarsi che le indagini non provochino un effetto domino sui ministri, azzoppando mezzo governo. Anche in questo caso la proposta Casini sarebbe d’attualità. Però, sotto una veste diversa: quella di un esecutivo tecnico, destinato a gestire la transizione, visto che quello in carica è caduto rovinosamente E’, questo, il fantasma che agita i sonni del Cavaliere. Nel frattempo, una domanda d’obbligo: come si prepara il centrosinistra, e soprattutto il Pd , all’eventualità che questo scenario prenda corpo? Con quale coerenza, razionalità, coraggio, intende operare?