No, sacrifici no. Questa parola, Berlusconi, non può pronunciarla. E, quindi, si arrovella. Frena sul promesso taglio delle tasse, ma raccomanda fiducia perché “senza ottimismo non si va da nessuna parte”. Finora, si è riparato dietro il superministro dell’Economia e le sue giravolte, rappresentazione politica dello sdoppiamento della personalità (per chi ama i richiami letterari, leggi Stevenson , con il dottor Jekyll e il signor Hyde). Rigorista e rispettoso dell’Europa l’attuale Tremonti, mentre quello che occupava prima la stessa scrivania era lassista e antieuropeo. Ma una manovra da 27 miliardi, benchè si assicuri che le misure non saranno particolarmente drastiche, è sempre un pugno nello stomaco, non proprio un buffetto. E, prima o dopo, il nostro premier dovrà metterci la faccia, fornire spiegazioni al Paese, dando fondo a tutte le sue capacità comunicative.
Eppure, la parola sacrificio non è poi così orribile. Sfogliando il Devoto, leggiamo che nel linguaggio economico significa “concorso del cittadino alle spese pubbliche”. Il punto è che questo termine non è mai entrato nel lessico berlusconiano. Gli è estraneo quanto è estraneo il concetto di austerità. Per il Cavaliere, sono termini e concetti che si addicono alla sinistra. Una sinistra che, non appena arriva al potere, li impone subito, con una buona dose di sadismo. Mentre, Berlusconi al governo è garanzia di una stagione della fantasia, di un’eterna primavera creativa e deregolatoria. Se oggi, invece, bisogna affrontare una crisi economica, a lungo sottovalutata, che cosa accade? E’ la stessa filosofia del berlusconismo che entra in crisi. E’ tutta la carriera del premier, come imprenditore vincente e uomo del fare, prima ancora che come leader politico, ad andare in frantumi. Si dissolve quell’atmosfera di consumismo ottimista e sorridente con la quale ha edificato le sue fortune, a cominciare dall’impero televisivo.
Sta qui il rischio, per la destra berlusconiana. Perché, oltre ai soldi che mancano, sta cadendo il castello di illusioni e bugie che in questi anni è stato edificato, asserendo che l’economia era in ripresa, la crisi ormai alle spalle, malgrado il disfattismo della sinistra. E ora? Oggi che è richiesto un riesame della politica economica, cosa si fa? Il populismo del Cavaliere, con la sua richiesta ossessiva di consenso e fedeltà al leader, non pare attrezzato per superare la prova. Cade l’oblio sulla rivoluzione culturale berlusconiana. Ma cresce l’allarme per la democrazia in questo nostro Paese.