“Lo svolgersi di questa cerimonia, nonostante il momento di acuta crisi e incertezza politica che il Paese sta vivendo, vale a sottolineare la distinzione e autonomia del tema costituzionale dalle alterne vicende dei partiti, delle maggioranze e dei governi”. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, interviene alla celebrazione del sessantesimo anniversario della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La cerimonia è nell’aula di Montecitorio, dove per l’occasione deputati e senatori sono riuniti in seduta comune.
Ecco il testo completo del discorsoLo svolgersi di questa cerimonia nonostante il momento di acuta crisi e incertezza politica che il paese sta vivendo, vale a sottolineare la distinzione e autonomia del tema costituzionale dalle alterne vicende dei partiti, delle maggioranze e dei governi. E mi si lasci aggiungere che conoscendo i motivi di inquietudine e di sfiducia che serpeggiano tra i cittadini, è confortante poter guardare tutti, senza spirito di parte, a un grande quadro di riferimento unitario come quello che l’Italia si diede con la Costituzione del 1948.La ricorrenza dell’entrata in vigore di quella Carta non è d’altronde mai stata, di decennio in decennio, una mera occasione celebrativa.Ci sono date che rimangono consegnate alla storia del paese, scandendone in modo significativo il divenire: esse vanno ricordate e valorizzate al fine di coltivare tra gli italiani la coscienza del comune passato storico.
Ma la data del 1° gennaio 1948 è altro : perché ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro – una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme animando una competizione democratica senza mettere a repentaglio il bene comune.Il processo risorgimentale, il movimento per l’unità d’Italia, ebbe per compimento lo Stato nazionale, che assunse i lineamenti di uno Stato liberale ma senza il presidio di una Costituzione votata dai rappresentanti del popolo che prendesse il posto dello Statuto albertino concesso “per volontà sovrana”. Fu – dopo la rottura autoritaria del ventennio fascista – con il voto e con la scelta repubblicana del 2 giugno 1946, che l’Italia unita giunse all’approdo del costituzionalismo. Da allora si può ben dire – mi sia consentito di richiamare quest’espressione del messaggio da me rivolto al Parlamento nel giorno del giuramento – che “l’unità costituzionale” si è fatta “sostrato dell’unità nazionale”. E’ tale convinzione che mi guida anche nel considerare il dibattito attuale sui temi istituzionali.Già a sessant’anni dal voto del 2 giugno 1946, abbiamo avuto modo di rievocare “l’età della Costituente”, che si snodò attraverso le tappe importanti della Consulta nazionale e dell’attività del Ministero della Costituente per sfociare negli intensi lavori dell’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno a suffragio – per la prima volta – universale, e infine, il 22 dicembre 1947, nell’approvazione – a larghissima maggioranza – della Costituzione.
Fu quella una delle stagioni più altamente costruttive e creative della nostra storia nazionale.Il risultato cui si giunse fu possibile grazie a un confronto eccezionalmente ricco e approfondito e alla graduale confluenza – al di là dei contrasti e dei momenti di divisione che certamente non mancarono – tra le diverse correnti storico-culturali e politiche rappresentate nell’Assemblea Costituente. Appare ormai oziosa la disputa sul termine con cui definire quel risultato : se lo si definisce “compromesso”, con ciò intendendo l’accordarsi su un’ibrida composizione di orientamenti divergenti e inconciliabili, non si coglie quel che nella Costituente vi fu di ascolto reciproco, di scambio e di avvicinamento sul piano ideale, di riconoscimento di istanze e sensibilità comuni ; quel che vi fu di paziente ricerca di punti d’incontro e di soluzioni condivisibili, di accettazione degli esiti alterni della prova del voto su materie controverse, e dunque di spirito di moderazione e di senso della missione.Ed è perché così nacque la Costituzione, che essa ha potuto presiedere nel corso dei decenni a quella complessiva grande trasformazione che ha fatto dell’Italia un paese moderno e altamente sviluppato ; e ha potuto reggere a tante tensioni politiche e sociali, a tante nuove sollecitazioni e domande.Sulle scelte che nel lungo periodo trascorso dall’entrata in vigore della Carta costituzionale hanno concretamente caratterizzato l’azione dello Stato e la crescita della società italiana, si sono via via espressi giudizi critici, anche radicalmente critici, e restano accese le controversie su non poche valutazioni di merito e d’insieme.
Ma non ha senso imputare alla Costituzione errori e distorsioni che hanno rappresentato il frutto di una complessa dialettica politica. Occorre fare bene attenzione a non confondere indirizzi costituzionali e scelte politiche, responsabilità politiche. Da questa distinzione, e da un’analisi obbiettiva, emerge la vitalità dimostrata in sessant’anni dalla Costituzione, dai suoi principi e indirizzi fondamentali : anche dopo che lo scenario politico è radicalmente mutato.Nessuna delle forze politiche che parteciparono all’elaborazione della Carta costituzionale e che si contrapposero aspramente all’indomani della sua entrata in vigore, è rimasta in vita uguale a se stessa. Dalla crisi che ha investito, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il sistema dei partiti, e dall’avvio di una democrazia dell’alternanza, è scaturito un quadro di forze che in quanto competono per il governo del paese si riconoscono naturalmente nella Costituzione. Questa rappresenta più che mai – nella sua comprovata validità – un patrimonio comune. Nessuna delle forze oggi in campo può rivendicarne in esclusiva l’eredità, né farsene strumento nei confronti di altre. Possono solo tutte insieme richiamarsi ai valori e alle regole della Costituzione, e insieme affrontare anche i problemi di ogni sua specifica, possibile revisione.Al centro del dibattito, nei primi decenni successivi all’entrata in vigore della Costituzione, si sono, in effetti, posti i problemi della sua attuazione.
E molto si è detto sulla lentezza nonché su taluni aspetti di tale attuazione, non sempre apparsi convincenti.Poi, la riflessione si è venuta spostando sull’evoluzione che ha conosciuto la nostra realtà costituzionale. Tale evoluzione si è compiuta innanzitutto grazie all’approvazione, nel corso di lunghi anni, da parte del Parlamento, di leggi che hanno fatto vivere importanti principi sanciti in Costituzione : come quelle a tutela della salute quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, o sullo Statuto dei diritti dei lavoratori, o sul diritto di famiglia. Non meno forte è stato l’impulso venuto via via dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha svolto una funzione insostituibile garantendo sia il rigoroso rispetto del dettato della Costituzione sia la sua apertura a nuove realtà ed esigenze. Un’apertura consentita dalla sapienza dei costituenti che – come nei suoi commenti osservò il maggior studioso protagonista dell’Assemblea – condusse a formulazioni che lasciassero “aperto l’adito all’accoglimento di significati non previsti né prevedibili al momento dell’emanazione” della norma costituzionale.Il contributo evolutivo che è venuto in tal senso dalla Corte si è intrecciato con il fenomeno, davvero determinante, del processo di integrazione europea in cui l’Italia si è impegnata e riconosciuta fin dagli anni ’50, nel solco di un’ispirazione straordinariamente anticipatrice come quella dell’articolo 11 della Costituzione ; al quale è di recente seguita, col nuovo articolo 117, la piena assunzione dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
I Trattati europei, le Carte dei principi e dei valori della Comunità e poi dell’Unione europea, hanno costituito una fonte preziosa di conferma e di arricchimento degli indirizzi caratterizzanti la nostra Carta costituzionale.Il più profondo elemento di identificazione tra la nostra Carta e l’orientamento dei Trattati europei può rintracciarsi nella concezione del primato della persona, del suo svolgimento e sviluppo su basi di libertà e di eguaglianza, della sua dignità come fondamento dei diritti dell’uomo e del cittadino. E se nella Costituzione italiana è mirabilmente definito, a partire dai “Principi fondamentali”, l’insieme dei diritti di libertà, dei diritti civili e sociali da affermare, va salutato in piena coerenza con la visione dei nostri Costituenti l’apporto delle Carte internazionali dei diritti e specialmente di quelle europee. Anche il Parlamento italiano sarà tra breve chiamato a ratificare il Trattato di recente sottoscritto a Lisbona, che sancisce nello stesso tempo l’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, già presidiata dalla Corte di Strasburgo, e il valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione del dicembre 2000.Anche formulazioni della prima parte della Costituzione del ’48 come quelle relative ai “rapporti economici”, che in tempi recenti sono state oggetto in modo particolare di valutazioni polemiche, ricevono nuova luce dai Trattati europei sottoscritti dall’Italia. Il principio della libertà dell’iniziativa economica privata, che apre l’articolo 41, è stato non smentito ma arricchito dallo svolgimento che ha avuto con la nascita della Comunità europea, incentrata sulle “quattro libertà” poste a base della costruzione del Mercato Comune, e sulle regole, sempre più stringenti, di tutela della concorrenza.Si guardi egualmente all’affermazione, nella Carta del ’48, del principio di una comune responsabilità sociale e di un corrispondente ruolo dei pubblici poteri : quel principio, comune ad altre, coeve Costituzioni europee, fu suggerito dall’evoluzione del pensiero economico e delle politiche pubbliche in Occidente a partire dagli anni ’30 del Novecento.
Ed esso da ultimo si è rispecchiato nell’assunzione – nel Trattato costituzionale e ora in quello di Lisbona – della “economia sociale di mercato” come quadro di riferimento di una politica europea di sviluppo sostenibile.A suggello di questa vera e propria integrazione tra gli indirizzi della Costituzione repubblicana e quelli dei Trattati europei, è stata da lungo tempo posta l’affermazione – da parte della Corte Costituzionale – della primazía del diritto comunitario. Nello stesso tempo, la nostra Carta è entrata a far parte del “patrimonio costituzionale comune” riconosciuto e valorizzato dalla Corte di giustizia europea.Non a caso dunque, nemmeno negli ultimi decenni di intenso confronto sul tema delle riforme istituzionali, è stato portato avanti alcun progetto di revisione della prima parte della Costituzione repubblicana, né dei suoi “Principi fondamentali”. Il confronto si è concentrato sulla seconda parte della Carta, sull’ “ordinamento della Repubblica”. D’altronde, la Carta del ’48 non è mai stata considerata un tutto intoccabile. Si dimentica talvolta che in questi sessant’anni – tra il 1963 e il 2005 – sono stati modificati, sostituiti, aggiunti 38 articoli o commi della Costituzione. Nella prima parte, l’articolo in cui è stato introdotto il “diritto di voto dei cittadini residenti all’estero”, e, più di recente, l’articolo nel quale è stato inserito il comma sulle “pari opportunità tra donne e uomini”. Nella seconda parte della Costituzione, l’intero Titolo V, e articoli di particolare significato e rilievo come quello che ha sancito, nel 1999, i principi – vale la pena di ricordarlo – del giusto processo.Sull’ordinamento della Repubblica, il Parlamento è dunque intervenuto, attraverso apposite leggi costituzionali, ripetutamente, in legislature lontane e vicine ai nostri giorni.
Ma ben al di là di ciò si è più volte aperto il confronto su revisioni di assai più ampia portata, tali da investire anche la forma di governo disegnata nella Costituzione del ’48. A questo proposito risulta ancor oggi indicativo il progetto presentato nel 1994 dalla Commissione bicamerale allora presieduta dall’on. Iotti. Indicativo nel senso che esso si riallacciò a posizioni già emerse nel dibattito svoltosi in seno all’Assemblea Costituente.Non sfuggì infatti, in quel dibattito, il rischio che l’ordinamento della Repubblica presentasse il punto debole di un’insufficiente garanzia della stabilità dell’azione di governo : stabilità legata anche – come l’esperienza politica e istituzionale dei decenni successivi avrebbe meglio chiarito – al grado di efficacia dei processi decisionali. Si è richiamato e si richiama, nelle discussioni su questi temi, come particolarmente significativa l’approvazione largamente maggioritaria, nel settembre 1946, da parte dell’apposita Sottocommissione dell’Assemblea Costituente, dell’ordine del giorno Perassi. Se ne è ricordata la formulazione severamente ammonitrice : ci si pronunciò “per l’adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi tuttavia con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”. Ma quei “dispositivi” non vennero adottati dai Costituenti per preoccupazioni e ragioni – legate a quella fase politica – che in sede di analisi storica si è cercato di ricostruire.Il filo di quell’approccio sarebbe stato ripreso solo molti decenni dopo, con le proposte contenute – come ho appena ricordato – nel progetto di riforma del 1994, il primo sottoposto al Parlamento dopo le ampie discussioni e conclusioni della precedente Commissione Bozzi.
E’ tuttavia un dato di fatto che tale progetto, per circostanze politico-istituzionali ben note, non poté essere discusso e votato nelle Assemblee di Camera e Senato, pur avendo ottenuto un ampio consenso in Commissione.Ed è un dato di fatto, ancor più rilevante, l’accantonamento che alcuni anni più tardi toccò in sorte ad altro, più ambizioso progetto di revisione della seconda parte della Costituzione, elaborato nel 1997 dalla Commissione bicamerale presieduta dall’on. D’Alema ed esaminato in Assemblea dalla Camera dei Deputati tra il gennaio e il maggio del 1998. Se si considera come al mancato coronamento di quello sforzo pur dispiegato con grande dispendio di energie e ricchezza di contributi, e in uno spirito di ricerca della più larga unità, sia seguita la vicenda della legge di modifica della parte seconda della Costituzione approvata nel 2005 dal Parlamento a maggioranza ma respinta nel successivo referendum popolare confermativo, è giocoforza trarne alcune conclusioni.Innanzitutto, sono risultate non sufficientemente riconosciute le esigenze, e non mature le condizioni, di un’opera di complessiva riscrittura del testo costituzionale sull’ordinamento della Repubblica. E’ questa una constatazione oggettiva, che prescinde da ogni valutazione polemica sulle posizioni e sulle responsabilità dei diversi schieramenti politici.Nello stesso tempo, risulta perfettamente comprensibile e perseguibile l’intento di procedere alla revisione di specifiche norme costituzionali, che si giudichino non più rispondenti ad esigenze di corretta ed efficace articolazione dei poteri nel sistema delle istituzioni repubblicane.Tali esigenze non possono essere negate né minimizzate.
E’ vero che a partire dall’inizio degli anni ’80 si adottarono modifiche nei regolamenti parlamentari, mentre altre sono successivamente intervenute nella prassi, che hanno accresciuto le garanzie per un più tempestivo e sicuro svolgimento dell’azione di governo, per un più sostenibile equilibrio tra prerogative del Parlamento e diritto-dovere di governare. Ma non c’è dubbio che restino e si manifestino squilibri e distorsioni, fattori di confusione e di tensione su diversi piani – nei rapporti tra legislativo ed esecutivo, ed anche nei rapporti tra istituzioni centrali ed istituzioni regionali e locali : si è di queste ultime potenziata l’autonomia, allargata l’area di responsabilità e di decisione, superando un vecchio modello di Stato accentrato, ma senza trarne tutte le conseguenze. Ebbene, è innegabile che alle diverse persistenti contraddizioni e inadeguatezze dell’ordinamento della Repubblica si possa porre riparo intervenendo su alcune disposizioni della seconda parte della Costituzione.Ho perciò più volte auspicato che in quella direzione le forze politiche si impegnassero avviando un realistico confronto – nella ricerca del necessario e possibile consenso – su talune, essenziali e ben delimitate proposte di riforma dell’ordinamento costituzionale. Proposte che abbiano loro ragioni, di più lungo periodo, rispetto a un distinto e parallelo cammino – che pure ho auspicato – di riforma elettorale. Più in generale, ogni discorso sulla Costituzione deve prescindere da calcoli contingenti, caratterizzarsi per la sua autonomia e la sua ponderazione.Naturalmente, qualsiasi posizione culturale o politica favorevole a più drastici mutamenti del modello di riferimento della seconda parte della Costituzione repubblicana, può essere legittimamente sostenuta nel dibattito pubblico.
Ma siffatti eventuali mutamenti vanno colti e prospettati nella loro complessità; le loro implicazioni e le loro incognite non possono essere eluse, ed è bene rifuggire – nell’ipotizzarli – da semplificazioni e miracolismi.Un problema di equilibri istituzionali si pone comunque in un sistema democratico. Nell’unico paese europeo in cui sia stato introdotto il regime semi-presidenziale, con l’elezione di un Capo dello Stato partecipe dell’esercizio di poteri di governo, è oggi in corso un processo di riforma dettato anche dal riconoscimento di una carenza di “contropoteri”, e dunque rivolto, tra l’altro, al “riequilibrio delle istituzioni”, al rafforzamento del ruolo del Parlamento, al riconoscimento del ruolo dell’opposizione. E negli Stati Uniti, nel sistema presidenziale per eccellenza, opera un forte Parlamento, opera un insieme di controlli e bilanciamenti che ha fatto grande la democrazia americana.In realtà, dovunque, quale che sia il quadro istituzionale, la speditezza del processo decisionale è chiamata a fare i conti con la realtà dei conflitti e dei rapporti di forza politici. Se per l’Italia la via concretamente perseguibile, la più ponderata e saggia è – secondo l’opinione di molti – quella di un riequilibrio entro la forma di governo parlamentare, si deve essere ben consapevoli del fatto che la stabilità dei governi e la tempestività delle decisioni anche legislative, resteranno sempre legate in non lieve misura al livello di aggregazione e di coesione tra le forze politiche che si alternano alla guida del paese, al loro grado di rappresentatività, alla loro autorevolezza.La ricorrenza del 60° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione ci sollecita a un grande impegno comune per porre in piena luce i principi e i valori attorno ai quali si è venuta radicando e consolidando l’adesione di grandi masse di cittadini di ogni provenienza sociale e di ogni ascendenza ideologica o culturale al patto fondativo della nostra vita democratica.
Quei principi vanno quotidianamente rivissuti e concretamente riaffermati : e, ben più di quanto non accada oggi, vanno coltivati i valori – anche e innanzitutto morali – che si esprimono nei diritti e nei doveri sanciti nella Costituzione. Nei doveri non meno che nei diritti. Doveri, a cominciare da quelli “inderogabili” di solidarietà politica, economica e sociale, che debbono essere sollecitati da leggi e da scelte di governo, ma debbono ancor più tradursi in comportamenti individuali e collettivi.Non posso non rilevare come invece troppi siano oggi i casi di non osservanza delle leggi e delle regole, di scarso rispetto delle istituzioni ma anche di scarso senso del limite nei rapporti tra le istituzioni, di indebolimento dello spirito civico e, in ciascuno, del senso delle proprie responsabilità. Così come non posso non esprimere allarme per ogni smarrimento di valori essenziali come quello della tolleranza e della libertà di confronto tra diverse posizioni di pensiero e ideali. Da tutto ciò traggo più che mai l’incitamento a un forte ancoraggio nei principi e nello spirito della Costituzione nata sessant’anni orsono.Signori Presidenti,onorevoli parlamentari,Signore e Signori,l’Italia vive, insieme con l’Europa, tutte le incognite, le sfide e le tensioni del mondo che ci circonda, con le sue molteplici, incalzanti trasformazioni. E’ mia convinzione – da voi, ne sono certo, sostanzialmente condivisa – che non manchino al nostro paese le forze per superare le prove di questa fase storica e di questo cruciale momento.
E’ però necessario porre mano a quel rinnovamento della vita istituzionale, politica e civile, in assenza del quale la comunità nazionale, in tutte le sue parti, sarebbe esposta a crisi gravi.La condizione del successo è in un concorso di volontà, che non può, non deve mancare. Un concorso di volontà più forte di tutte le ragioni di divisione, pur nello svolgimento di una libera dialettica politica e sociale. Ci unisce e ci incoraggia in questo sforzo la grande, vitale risorsa della Costituzione repubblicana. Non c’è terreno comune migliore di quello di un autentico, profondo, operante patriottismo costituzionale. E’, questa, la nuova, moderna forma di patriottismo nella quale far vivere il patto che ci lega : il nostro patto di unità nazionale nella libertà e nella democrazia.
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