Il sindaco di Roma, Walter Veltroni ha accolto l’invito di Libertà e Giustizia. Allo Spazio Krizia di Milano, lunedì 11 dicembre, davanti a un folto parterre, ha parlato di democrazia e partiti, della situazione politica italiana. Ha illustrato la necessità di un partito democratico che non può nascere senza una nuova legge elettorale e senza una parziale riforma delle istituzioni. Ma serve un partito nuovo, ha detto, che sappia ascoltare i cittadini e coinvolgerli. Tra il pubblico, Umberto Eco e Danco Singer, Natalia Aspesi, Vittorio Gregotti, Carlo De Benedetti, Krizia e Milva. Ci sono alcuni politici e amministratori locali, ma soprattutto molti amici e soci di LeG. Veltroni arriva puntuale. Ecco il testo della conversazione guidata da Sandra Bonsanti.
Partito democratico, non sentiamo che rassicurazioni. Perché?Da dieci anni la questione è posta nella vita politica italiana, occorre un soggetto politico che raggruppi culture liberali, riformiste e democratiche del paese. Lo dico con convinzione, perché bisogna dare alle cose il nome giusto. Partito democratico è il nome che bisogna spendere per fare un grande partito di cultura e radici democratiche che ambisca ad essere forza di maggioranza. Lo sostenevo dieci anni fa, quando era nato l’Ulivo. I nuovi partiti non possono nascere dalla fusione dei vecchi, non basta. Vi ricordate il ’96, quando nacque l’Ulivo? Ecco partì dal basso, con i comitati, quartiere per quartiere, città per città, fu un modo convincente, tanto che poi vinse.E’ un soggetto politico nuovo, ha dentro di sé i vecchi partiti ma non ne è la trasposizione.
Questo vuol dire avere coscienza di far partire il nuovo soggetto dal basso, con forze politiche e cittadini, quei 4 milioni di italiani che hanno votato alle primarie, i milioni di cittadini italiani che attendono un governo che si costituisca per qualcosa e non contro qualcuno. Il resto è altro, questo è il partito democratico.
Non tutti però hanno in mente la stessa idea di partito democratico…Questo è un problema, una federazione di partiti ha una sua dignità ma è altro. Credo che si debba aprire una nuova stagione politica nel nostro Paese. C’è una questione più grande: chiunque ha occhi per vedere, vede come è oggi il nostro Paese, dopo cinque anni di governo Berlusconi. Sono preoccupato per la democrazia, le minacce per la democrazia non sono i colonnelli, ma viene dalla crisi della democrazia stessa, dalla sua fragilità, quando non è in grado di decidere. Abbiamo vissuto cinque anni d’inferno, con Berlusconi, un governo nato all’insegna del liberismo che non ha liberalizzato alcunché. Dopo ore di attesa per l’ansia su chi avrebbe governato e dopo la richiesta di riconteggio delle schede, siamo al governo. Questo è un paese che ha passione politica grande, decine di milioni di persone hanno votato, ma la luce l’accende o la spegne quel senatore che decide di votare o no per questa o quella legge. In una democrazia compiuta c’è una maggioranza che ha i numeri per contare e per governare. Abbiamo bisogno di un governo stabile.
La scelta del governo è il sale di una democrazia. Se non si farà una riforma elettorale, e aggiungo anche una riforma istituzionale, non faremo un solo passo in avanti. Abbiamo una Costituzione che non ha bisogno di essere cambiata, se non nella parte che riguarda la forma di governo. Solo quando riusciremo a formare un governo che non sia fatto contro qualcosa, ma per qualcosa, potremo iniziare a discutere. Non si può andare avanti con due schieramenti contro. Ma abbiamo bisogno di una legge elettorale che consenta una aggregazione ampia, pur avendo all’interno un pluralismo forte. Penso all’America, per esempio, ma anche all’Inghilterra. Se ci sarà legge elettorale che consente al cittadino di scegliere chi governa, ci sarà una coalizione che potrà governare con i premi di maggioranza. E vi faccio subito un esempio: cosa erano i comuni prima del ’93? Corruzione, groviglio istituzionale, paralisi. Poi è arrivata la nuova legge elettorale e dunque la governabilità. I sindaci sono alla stanga per fare le cose, devono rendere conto direttamente ai cittadini di quello che fanno. In Italia non è così, ora. La democrazia è a rischio.
Tu sostieni che si debba eleggere direttamente il Presidente del Consiglio?Con tutti i contrappesi del caso. Quasi tutti i paesi democratici lo fanno, di che abbiamo paura? Serve un presidente che abbia dei limiti, certo, non deve poter sciogliere le camere, ma possa scegliere i ministri e revocarli.Guardate, sono stato a Palazzo Chigi.
Ora, ragioniamo: che poteri ha di legiferare questo governo? Ha i decreti legge, per le emergenze. Poi i disegni di legge che devono però superare il vaglio delle camere. Ma così, che garanzie hai, tu che sei stato eletto, di mantenere il programma? Guardate che i problemi sono molti. Ci sono alcuni problemi che si chiamano pensioni, stato sociale, istruzione, scuola, informazione. I temi dell’assetto istituzionale. Può andare avanti questo paese con tutte le divisioni tra province, regioni, comuni? Ma così, ci sarà sempre un passaggio a livello che riguarda due province, due o più competenze. Bisogna avere il coraggio di capire che la democrazia moderna è fatta di pesi e contrappesi. Ma se un governo non ha la possibilità di governare, non può farcela…
Bush è un uomo forte, ma deve vedersela con un congresso che è molto forte…Certamente, ma deve convivere con il suo Parlamento che è altrettanto forte e ha molti poteri. E’ un esempio felice, quello americano, pur con tutte le sue contraddizioni. L’America elegge un presidente forte che deve avere a che fare con un congresso forte. Il nostro invece è presidente debole…Esaminiamo le cose, il nostro parlamento è fatto di esponenti scelti dai partiti. Non voglio fare il nostalgico, ma in altri tempi in Parlamento ci sono finiti Claudio Napoleoni e Natalia Ginzburg. Ora l’avete visto il servizio delle Iene. Il Darfur, per molti, è uno stile di vita e la Consob non si sa che diavoleria.
E inoltre, possiamo andare avanti a fare leggi finanziarie così? Con un Parlamento praticamente bloccato, paralizzato. Non sarebbe più razionale lavorarci a ottobre, poi affidare il testo al Parlamento per le modifiche, e alla fine chiedere il voto blindato: prendere o lasciare. Perché quella è la Legge fondamentale per il Paese e un governo dovrebbe assumersi anche il rischio di cadere su un tema così importante.
Ma nel nuovo che dici tu, c’è solo una ingegneria istituzionale più moderna oppure anche il rinnovamento della classe politica?La stagione dei partiti è finita. Sono tra quelli che fece nascere il Pds, ai tempi. Ora abbiamo bisogno di una forma partito nuovo, dove realtà come Libertà e Giustizia siano compresa. I partiti nascono o da una grande crisi, o da una grande energia. Non è un argomento quello che si sente in questi giorni, e cioè “facciamolo perché si deve”. La motivazione a partecipare viene se si fa un partito perché c’è una dinamica nuova, per cui il precario o l’intellettuale, l’operaio o l’impiegato, uno partecipa se sa che conta, che può far sentire la sua voce. Oggi si discute di Pse. Ma è questa l’urgenza? Facciamolo sto partito, poi vedremo la sua collocazione europea. Se poi il Pse avesse la gentilezza di riconoscere che c’è di più, oltre la tradizione socialista, darebbe una mano a tutti. E badate, dico una cosa che diceva già Bettino Craxi, un’Internazionale dei socialisti e dei democratici non fa male a nessuno.
Ma quante culture sono nate fuori dai perscorsi tradizionali?
Senti Walter, se dovessi cercare di convincere i tuoi compagni di partito che sono contrari al pd, cosa diresti?Allora la premessa è che se questa forza politica ha l’intelligenza di tenere in sé le diverse culture, è vincente. Prendiamo i labouristi inglesi. Al congresso ci sono le forze più strane, anche radicali, ma convivono tutte perché tendono alla costruzione di soggetti coesi, che garantiscano governabilità e stabilità. Perché in Italia dobbiamo immaginare un partito che a forza di tagliare lascia agli estremi solo posizioni di marginalità? Allora dico: meglio un partito nuovo, una realtà nella quale ci sia molto più fluidità, meno rigidità che nelle forme partito del passato. In Usa, quando hanno scelto Kerry, hanno scelto un candidato clintoniano ma aveva una evidente difficoltà rispetto al rapporto con il popolo, con i cittadini. Il partito democratico deve essere un partito di popolo, intendo quella forma calda di condivisione che si va perdendo. Oggi si vive di sondaggi, su quelli si fonda tutto. I politici vivono di quelli. Ma i politici dovrebbero saperlo da soli come è la società italiana, questo intendo con rapporto caldo con gli elettori. Kerry, quando dava la mano agli elettori, poi cercava il kleenex in tasca. Bush ha vinto perché aveva un rapporto di calore vero con gli elettori.
Walter, tu vai spesso nelle sezioni ds della tua città? Perché mi pare che gli iscritti si sentano soli, lasciati ai margini, esclusi dal dibattito. Certo che ci vado.
Faccio un lavoro che mi porta spesso a contatto con la gente. Purtroppo sono arrabbiati perché capiscono che il pd si sta vivendo come una dolorosa necessità, non come una forza vitale, un progetto nuovo. Ma allora bisognerebbe avere il coraggio di fermare il gioco, di dire stop, fermiamoci, forse ci serve più tempo.
Secondo te, sono ancora in tempo per fermare tutto?Secondo me sì. Se sono sinceri e se indicano una meta, si può ancora fare. Ci devono dire: ci vuole un anno, due anni. A patto che poi si faccia il pd che vogliamo. Una nuova forma istituzionale, una nuova forma partito.
All’interno del centrosinistra si è sempre detto: i problemi che ci dividono sono molti, tutti quelli di etica e bioetica, per esempio, ma quelli che ci uniscono sono molti di più. Ma è davvero così?Certo, essendo in una fase di transizione, è sempre così. Ma noi abbiamo perso la più grande occasione della storia nostra, il referendum del ’99. Le leggi elettorali possibili per l’Italia sono due: o quella dei sindaci, che prevede la scelta del presidente del consiglio, e la seconda è quella secondo il modello francese. La legge dei sindaci andrebbe benissimo; con un rafforzamento dei poteri del premier. Prendiamo una delle due e facciamola.Giuliano Amato in una recente intervista ha detto che sente il rischio di una deriva populista…Sono d’accordo: guarda la società italiana, attraversata da una tentazione neoparticolaristica. La figura mitologica è quella del cavallo straziato da quattro forze diverse.
Se in un paese viene meno la riflessione sugli interessi generali, allora la democrazia soffre. Ma il governo deve essere forte.
Da sindaco, il problema delle unioni di fatto, come lo vedi?Lo vedo positivamente. Premessa generale: invidio tutti colori i quali in tempo di politica debole come questa hanno tutte le risposte. Francamente, ci sono temi davanti ai quali mi trovo interessato a cercare una soluzione, ma non ho una risposta in tasca. Il caso Welby mi toglie il sonno: ma non ho una soluzione. C’è anche un terreno di sintesi delle culture. Sulle unioni di fatto sappiamo di cosa parliamo. Sono diritti basilari. Se diamo idea di una crociata di parte, sbagliamo. Costruiamola insieme la soluzione, partendo dal fatto che due persone che si amano hanno il diritto di vivere la loro vita, quale che sia, secondo diritti garantiti.
Tu Walter, che sei una persona di dialogo, pensi che nell’Italia che emerge dopo gli anni di Berlusconi, divisa dall’odio, come dimostrano anche gli insulti di Bologna, si possa trovare il punto d’incontro sulla discussione?Ho esperienza di una città che è un paese. Col sindaco di Parigi, che di recente è venuto a trovarmi, abbiamo fatto il confronto. Roma è 13 volte Parigi, ma ha gli stessi abitanti all’incirca. Nella città e nelle periferie cerchiamo di affermare questo principio, del confronto. Accanto a me, alla cena col sindaco di Parigi, l’altra sera, c’era Alemanno, mio avversario alle amministrative.
Prendiamo il caso dei taxisti. C’è stata tensione, ma poi il dialogo ha avuto la meglio. Alla fine abbiamo acquisto 1500 licenze in più, nemmeno un’ora di sciopero, la tariffa fissa per Fiumicino, Ora sto lavorando per dare una sede alla fondazione intestata ai fratelli Mattei, vittime dell’orrendo episodio del rogo di Primavalle. Ma guardate che in una società democratica dovrebbe esserci una situazione in cui, io che sono cittadino, dovrei poter scegliere tra due leader politici, tra due schieramenti, senza avere la sensazione di partecipare a una crociata. I fischi di Bologna, ma anche i volantini lanciati dalle finestre del Manifesto contro il corteo di Ratzinger, sono la prova di un Paese infantile, che fa fatica a crescere.
Interviene Umberto Eco: Io su questa cosa dei fischi non sono d’accordo. A me va benissimo che si fischi il capo del governo, e mi va ancora meglio che si tirino dei volantini su un capo di stato straniero… Ma è successo di più: al Manifesto è salita la Digos, perché? La Digos! Che cacchio c’entra la Digos? Se io lancio dei volantini in strada, senza offese palesi, al massimo devono poter intervenire i vigili urbani! È una cosa normalissima in una democrazia. Perciò faccio a Walter una domanda che è anche un invito: potrebbe per cortesia nascere un partito democratico in cui tutti i membri sostengono che l’Italia non è un protettorato vaticano?
VeltroniUmberto, è chiaro che fischiare è lecito, in democrazia, ma continuo a credere che quei fischi così, e quei volantini sul Papa, siano un gesto inopportuno.
Hai un giornale, puoi criticare il Papa sul giornale, che bisogno c’è che lanci dei volantini? Così, tra l’altro, ti metti anche contro un sacco di gente…Anche Prodi si può fischiare, certo, ma è meglio se non lo fanno. Però, prendiamo la manifestazione a San Giovanni. La cultura di questo paese è distruttiva, neoideologica, impaurita da tutto e da tutti. Cito Gramsci: il vecchio che si abbarbica alle gambe del nuovo. Quando abbiamo fatto la festa del cinema, orrore, sembrava avessimo fatto un attentato alla Costituzione. E invece poi ha fato bene a tutti, c’è stato spazio per tutti.Io non credo che gli italiani siano davvero così. Sabato vado all’Auditorium a parlare di politica e si paga, ma già si sono iscritte 1200 persone, perché il paese in cui viviamo è meglio di quello che dipingiamo.
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